Francesca Cerruti, umile e riservata nella vita di tutti i giorni, e attualmente ai vertici di AB Medica, racconta a Tgcom24 il suo percorso professionale: dagli uffici di contabilità alla sala operatoria per dare assistenza con le sofisticate macchine di robotica chirurgica.
Buongiorno, Francesca. La sua fama la precede…
Davvero? In che senso?
Le persone che la conoscono e con cui lavora mi hanno parlato molto bene di lei…
Mi fa piacere, ma non mi stupisce: con le mie collaboratrici più strette si è creato un legame molto forte, un rapporto che nasce da una stima profonda e che si è trasformata in affetto col passare del tempo.
So che ha avuto una bambina da poco.
Sì, sono diventata mamma otto mesi fa. Olivia è fantastica, non vedo l’ora di tornare a casa per stare con lei, giocare con lei. Per potermela godere l’ho allattata per sei mesi, tuttavia, anche se mi ero imposta di stare a casa dal lavoro, confesso che a soli quattro mesi aveva già preso sei aerei!
Lei però è giovanissima…
Ho 34 anni, ma non sono più così giovane. Quando entrai in azienda avevo solo vent’anni ed ero effettivamente la più giovane. Ora il tempo è passato, ci sono molte persone più grandi di me, ma anche molte più giovani e anche molte donne: dai 35 anni in giù c’è un equilibrio fantastico tra maschi e femmine.
Come sono stati gli inizi professionali?
Da ragazza non amavo particolarmente lo studio, ma desideravo con forza essere indipendente. Non volevo fare carriera a tutti i costi, ero decisamente orientata al fare. Quando sono entrata nell’azienda di famiglia ho fatto la gavetta, iniziando dagli uffici di contabilità. Man mano acquisivo competenze e strumenti, ma la svolta è arrivata qualche anno dopo, quando ho capito quale poetesse essere effettivamente il mio contributo in azienda, come avrei potuto aiutare nello sviluppo delle attività.
Che cosa è successo esattamente?
Circa quattordici anni fa ho iniziato a presenziare nelle sale operatorie con i prodotti ab medica. E’ stato formativo ed entusiasmante. Quando sono entrata in sala operatoria per la prima volta mi è stato chiaro che era esattamente quello che volevo fare.
La sala operatoria: un’esperienza forte. E’ stato traumatico?
Sì, è un’esperienza molto intensa e coinvolgente, ma per me si è trattato di un trauma positivo. Infatti finché non si entra in quella sala, non si possono capire le dinamiche che si svolgono all’interno. Da paziente, tutto finisce dal momento in cui l’anestesia inizia a fare effetto, ma in realtà, come operatore, è proprio da lì che si comincia. Ognuno in sala ha un proprio ruolo ben definito, si è tutti estremamente concentrati mentre si svolge l’intervento, ma la cosa curiosa per i “non addetti ai lavori” è che nel resto del tempo la vita in sala operatoria è esattamente come quella che si svolge in qualsiasi altro luogo di lavoro convenzionale, con le normali chiacchiere da macchinetta del caffè.
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Come è cambiata la sua vita in azienda?
Dopo aver iniziato a partecipare agli interventi in sala operatoria, e aver trovato la mia strada, le cose sono cambiate molto velocemente. Negli ultimi dodici anni, è raddoppiato il fatturato, il numero dei dipendenti e delle società del gruppo. L’azienda è molto più strutturata ora, ma quando iniziai lo era assai meno e questo mi consentì di vedere, apprezzare e capire moltissimi aspetti della nostra attività. Non so se questi cambiamenti siano ascrivibili alla fortuna, al destino o anche al mio personale contributo!
La sua vittoria più importante?
Farmi accettare in sala operatoria. Quando ho iniziato non ero nessuno e non mi consideravano, ma pian piano mi sono guadagnata la fiducia e la stima degli operatori, sapendo fornire la risposta giusta quando si è reso necessario. E’ allora che si diventa parte del team, che non sei più un estraneo.
Vantaggi e difficoltà nel lavorare nell’azienda di famiglia.
Sicuramente è molto facile essere riconosciuta e nel mio caso godere della stima e dell’affetto che sono sempre stati tributati a mio padre e che di riflesso sono stati riservati anche a me; tuttavia l’essere stata molto operativa mi ha permesso di svincolarmi dal fatto di essere la figlia di mio padre. Per contro, verso di me c’è molta riverenza, ma la vera sfida è far accettare il cambiamento. Trovo che sia importante fare qualcosa insieme anche se ovviamente tra i colleghi c’è il timore reverenziale nei confronti della proprietà.
Maternità: la vita cambia.
In realtà, si fanno le stesse cose, ma con una testa e una sensibilità molto diverse. E poi, diciamolo: se prima in una giornata facevo dieci cose, oggi ne faccio cinquanta! Noi donne siamo capaci di evolvere, sappiamo organizzare i pensieri con maggior precisione e cambiare il nostro coinvolgimento sul lavoro: certo, trovare il giusto equilibrio non è facile.
Organizzarsi con una bimba piccola non è proprio semplice.
Sono fortunata: Olivia ha una tata ed una nonna - mia mamma - fantastiche, un papà meraviglioso e quando arriva a casa la mamma è il momento del gioco. La prima cosa che faccio è mettermi ai fornelli per preparare la pappa, spengo il telefono e mi dedico esclusivamente a lei. Stare con Olivia mi fa riscoprire la purezza del genere umano ed è straordinario. Trovo che il “Back To Origin” sia terapeutico nella vita di ogni giorno, ma lo sia anche nel mondo del lavoro.
Se potesse aggiungere qualcosa a questa nostra chiacchierata?
Non sono abituata a parlare di me, al di fuori del contesto lavorativo sono molto umile e riservata. Mi piace molto viaggiare, mi arricchisce. Quando sono in vacanza poi lascio che sia la luce del sole a regolare la mia vita: in azienda tutto è calcolato al millimetro