Sono legittimi, e hanno diritto al cognome paterno, i figli nati con la procreazione assistita anche "post mortem", tecnica vietata in Italia, con il seme crioconservato del padre. A condizione, però, che entrambi i genitori abbiano dato il consenso. Lo afferma la Cassazione, dando ragione a una donna in causa con il Comune marchigiano di residenza che si era rifiutato di registrare la paternità alla sua bimba, nata dopo la morte del marito.
Risolvendo un dilemma giuridico, la Cassazione ha così rinviato a un nuovo appello, stabilendo però già, nella sentenza, la necessità di "rettificare un atto non compilato correttamente".
La donna si era sottoposta alla fecondazione in Spagna, dove è consentita anche post mortem, potendo contare sul consenso del marito. Alla nascita della bambina, due anni fa, ha chiesto che fosse registrata la paternità nell'atto di nascita, ottenendo però un rifiuto dall'anagrafe.
Il tribunale ha avallato la decisione dell'ufficiale di Stato civile, e così anche la Corte d'appello di Ancona. Ma per la Cassazione, quando il padre ha prestato il consenso, sapendo di dover morire, il bambino "è da considerarsi figlio nato nel matrimonio", "dovendosi individuare" nel momento del consenso, "la consapevole scelta alla genitorialità".