Una parete spoglia e interamente ricoperta di foglia d’oro, un cappotto e un cappello neri appesi a un attaccapanni a mo' di citazione autobiografica e una lampada a petrolio, simile a quella presente in Guernica, è tutto ciò che compone una delle più suggestive installazioni (Tragedia Civile) di Jannis Kounellis (Pireo 1936 - Roma 2017), in mostra alla Fondazione Prada di Venezia con altre 60 opere, riunite per la prima vasta retrospettiva dedicata all'artista dopo la sua scomparsa nel 2017.
Dalle tele bianche dei suoi esordi, solcate da segni, lettere e numeri neri, alla più recente installazione (due binari che sostengono sei grandi strutture in ferro colme ciascuna di 200 kg di vari materiali: da calchi in gesso a pietre, da cappotti a bicchieri e ingranaggi meccanici) è il percorso che all’interno dell’opera del Maestro greco passa dal segno urbano, grafico e pittorico a quello più dirompente, corporeo e sensoriale legato ai materiali, alla loro consistenza e alla tattilità.
Infatti, nelle installazioni della fine degli anni Sessanta, l’artista innesca uno scontro dialettico tra la leggerezza, l’instabilità, la temporalità dell’elemento naturale (come possono essere matasse di capelli o di cotone grezzo) e la pesantezza, la permanenza e la rigidità delle strutture industriali, rappresentate da superfici modulari di metallo grigio.
Un emblema dell’insofferenza dell’artista verso il proprio tempo è la porta, non più punto di passaggio, ma varco chiuso con pietre, legni, tondelli di ferro e lastre di piombo che rendono inaccessibili gli ambienti attigui esaltandone la dimensione metafisica e surreale.
I temi della gravità e dell’equilibrio e il confronto con lo spazio architettonico e urbano trovano invece una realizzazione monumentale nell'installazione del 1992, riproposta nella corte di Cà Corner. Concepita per la facciata esterna di un edificio di Barcellona, l’opera è composta da sette grandi piatti metallici che vanno a sostenere sacchi contenenti grani di caffè, il cui inebriante aroma solletica l’olfatto e stride con le fredde superfici metalliche. Infine, il portego del secondo piano ospita un intervento del 1993-2008, costituito da una sequenza di armadi, di diversi colori e forme, insolitamente sospesi al soffitto, un po' come de Chirico abbandonava i suoi mobili in vallate desertiche. Concepita per la prima volta per gli spazi di Palazzo Belmonte Riso a Palermo, l'opera sfida le leggi della gravità e, nella successione di ante casualmente aperte limita le fughe prospettiche e funge da inusuale cassa acustica.