a rischio centinaia di posti

Sos lavoro, "la crisi del microchip può essere più grave del Covid": ecco perché

Dalla fine del 2020 una gravissima carenza di processori ha colpito molti settori industriali: la domanda supera di molto la capacità produttiva mondiale e moltissime fabbriche hanno dovuto fermarsi

La crisi del microchip rischia di mettere in ginocchio la ripartenza del lavoro, in Italia come nel resto del mondo. Cominciata nell’industria automobilistica, si è diffusa negli ultimi mesi ad altri settori produttivi: i processori, infatti, permettono il funzionamento di televisori, smartphone, lavatrici, frigoriferi, perfino aeroplani. Si tratta di un'industria che secondo i dati raccolti da Bloomberg oggi vale circa 500 miliardi e, se si ferma, potrebbe danneggiare la ripresa dalla crisi dell’ultimo anno provocata dalla pandemia. 

Vengono per la stragrande maggioranza prodotti in Oriente, ma sono utilizzati ovunque. In Lombardia la carenza iniziata lo scorso dicembre ora si sta facendo sentire: "Questa crisi rischia di essere addirittura peggio di quella causata dal virus", dice Pietro Occhiuto della Fiom Cgil. Zero fabbriche di auto, ma ben 590 aziende, di cui 85 con fatturato sopra i 50 milioni, che producono qualunque cosa serva a un costruttore di veicoli. E su ogni vettura circa il 50% del valore è dato dall’elettronica. Qui la crisi da microchip colpisce duro. Il rallentamento di produzione fra febbraio e marzo ha portato a molti fermi produttivi e cassa integrazione in numerose aziende. E il problema, ormai, si riflette già sulla filiera: un mese dopo lo stop produttivo riguarda già stabilimenti del sud, riforniti dalle aziende lombarde.

Come è iniziata la crisi del microchip. Con la pandemia crescono le richieste di apparecchiature elettroniche: tablet, computer, telefoni 5G sono il pane quotidiano, anche in Italia, per smartworking e didattica a distanza. I prezzi salgono, ma soprattutto i grandi produttori di elettronica fanno incetta di componenti. E al tempo stesso si rallenta la produzione e l'approvvigionamento globale: i pregiati “wafer“ di silicio, si calcola, siano per il 70% del mercato nelle mani di due aziende, la coreana Samsung e la taiwanese Tsmc (dati Trendforce). I microchip prendono la via della Cina, in gran parte, oppure restano in Corea ad alimentare l’industria locale dell’elettronica, che poi esporta da noi. E le forniture, sempre più care, cominciano a scarseggiare in Europa.

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Perché i microchip sono così importanti. Sono componenti fondamentali in moltissimi prodotti, non soltanto di elettronica: anche se spesso si pensa soprattutto a quelli presenti nei computer e negli smartphone, in realtà i chip sono ormai essenziali per qualsiasi apparecchio che abbia almeno una parte elettronica. In un’automobile, per esempio, ce ne sono decine, e servono a gestire i finestrini elettrici, il computer di bordo, il sistema di intrattenimento, gli airbag, i sensori di parcheggio, e così via: si tratta di microchip meno sofisticati di quelli che si trovano in uno smartphone, ma pur sempre importanti. Sono diventati fondamentali anche per apparecchi apparentemente meno sofisticati, come appunto gli elettrodomestici, che negli ultimi anni hanno aggiunto nuovi sensori, collegamenti a internet e altre funzioni “smart”.

Tensioni Usa-Cina. Ma dietro la crisi dei semiconduttori ci sono anche questioni geopolitiche che vedono ancora una volta al centro della dispute Stati Uniti e Cina. Quando oggi si parla di semiconduttori, si parla soprattutto di due aziende: la Tsmc di Taiwan e la coreana Samsung.  Gli Stati Uniti, una volta leader di questo mercato, negli ultimi decenni hanno lasciato il passo alle aziende asiatiche, diventate oggi leader globali. L'ex presidente Usa, Donald Trump, ha ripreso con forza il dossier dei semiconduttori a partire dal 2019, proprio in virtù delle tensioni con la Cina di Xi Jinping, ritenendola una questione di sicurezza nazionale (l'industria delle armi fa ampio uso di semiconduttori). Il Covid-19 ha messo al centro la necessità da parte dell'Occidente di produrre chip anche di fascia bassa e soprattutto quella di avere un accesso alla produzione di terre rare, i cui giacimenti sono principalmente in Cina (41%) e in Africa (30%), secondo un report pubblicato dalla Commissione europea.

La questione quindi riguarda sia la produzione di questi beni, ma anche il ruolo che avrà la Cina nei prossimi decenni, in piena transizione da fabbrica del mondo, anche di tecnologia, a piattaforma tecnologica, che la porterà a un consolidamento del proprio mercato interno e a svolgere un ruolo sempre più centrale in quello asiatico.