Picchiato a morte da una baby gang a Manduria, otto fermati: sei sono minori
I membri della cosiddetta "Comitiva degli Orfanelli" sono accusati di tortura e sequestro di persona. Il pm: "Tutti sapevano quello che accadeva"
La polizia ha fermato otto persone, tra cui sei minorenni, considerate responsabili del pestaggio di Antonio Cosimo Stano, il 65enne deceduto il 23 aprile dopo essere stato picchiato e seviziato da una baby gang a Manduria (Taranto). La Procura contesta ai fermati, membri della cosiddetta "Comitiva degli Orfanelli", i reati di tortura e sequestro di persona.
Sono diversi gli episodi per i quali si procede per il reato di tortura a carico degli otto giovani. Nel provvedimento cautelare vengono descritti
più raid compiuti a gruppi dai ragazzi, per strada o anche in casa dell'anziano, e si parla di altri ragazzi in via di identificazione.
I soggetti fermati, accusati anche di danneggiamento e violazione di domicilio aggravati, hanno filmato le sevizie con i cellulari. "I
video - ha spiegato il procuratore del tribunale per i minori Pina Montanaro - circolavano non solo nelle chat ma in tutta la cittadina di Manduria. In tanti sapevano".
La visione "dei video e l'ascolto dei file audio - ha precisato il magistrato inquirente - evidenzia come la crudeltà e la violenza si autoalimentasse e aumentasse in maniera esponenziale laddove le nefandezze venivano diffuse all'interno del web, non soltanto nelle chat di cui gli indagati facevano parte ma in tutta la cittadina, su altri telefoni. La
quasi totalità della cittadina manduriana era a conoscenza di quello che accadeva e aveva modo di visionare queste crudeltà che sistematicamente venivano poste in atto".
A raccontare le ultime ore di vita di Antonio è
un amico d'infanzia, Fabio Dinoi, che l'ultima volta l'ha incontrato in ospedale: "Gli ho detto: 'Antonio lotta, sei forte, ce la devi fare' - ha raccontato -. Lui ha riconosciuto la mia voce, ha girato la testa, ma ho capito che era spento dentro, che non aveva alcuna voglia di vivere".
Antonio e Fabio si incontravano quasi tutti i giorni in un bar di Manduria ma "dal 25 o il 26 marzo non l'ho visto più - ha continuano - era sparito. Nonostante io fossi l'unico con il quale scambiava qualche parola quando prendeva il caffè al bar, non mi ha mai parlato delle violenze subite. Non mi ha detto nulla perché era
riservato e orgoglioso. Nessuno di noi pensava che lo torturassero, nessuno sapeva che fosse vittima dei bulli, che subisse torture fisiche e psicologiche. Sapevamo invece che qualcuno lo prendeva i giro".
"Una volta - ha ricordato ancora - ho visto che dei ragazzi che bussavano alla porta di casa sua, sono intervenuto e li ho sgridati, così come ha fatto
il parroco della chiesa vicina in un'altra occasione. Avessi saputo di quello che gli facevano davvero i bulli sarei stato con lui anche la notte per affrontarli". Non vedendolo per una settimana al bar, l'amico è andato a casa di Antonio.
"Era il 2 o il 3 aprile. Ho bussato e mi ha aperto il nipote. Mi ha spiegato quello che era accaduto". "Casa di Antonio era stata ripulita, forse da questi ragazzi - ha ipotizzato Dinoi -. Gli avevano tolto i ricordi della mamma morta e molte altre cose. Spero che la sua morte serva a portare
un seme di coscienza a questi ragazzi, altrimenti non sarà servita a niente. Questi giovani riempivano il loro vuoto con la sofferenza altrui".
Mentre le indagini stavano arrivando a un punto di svolta, con il fermo di otto ragazzi, di cui sei minori, ieri si è celebrato il
funerale del 66enne, in forma privata e alla presenza di pochi amici e parenti.
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