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Nina Zilli, tra musica e disegno: "Vi porto nella mia città dei sogni"

La cantante ha pubblicato "Dream City", un libro di illustrazioni dove la sua fantasia vola libera, in attesa del nuovo album. Tgcom24 l'ha incontrata

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Per una volta Nina Zilli non mette i suoi sogni e le fantasie in musica ma dà loro corpo attraverso il disegno. E' "Dream City" (Rizzoli), il libro pubblicato da poco, che racconta la storia di una città in cui i sogni possono avverarsi. "I sogni sono il motore della vita - spiega lei a Tgcom24 - e il disegno è la valvola di sfogo massima per arrivare dove normalmente non si potrebbe".

"Il libro parte con le 'Distruzioni per l'uso' - spiega Nina -. C'è sia una parte scritta che una illustrata, è una città completamente inventata. Diciamo che è la città in cui si realizzano tutti i sogni. E' divisa in quattro quartieri, con quattro organi di riferimento legati ai sentiimenti, seguendo la ricerca di equilibrio della medicina cinese. Quindi abbiamo il distretto del cuore, quello del cervello, quello del fegato e la pancia, intesa come centro delle emozioni, sia positive che ansiose.  E' un viaggio in cui perdersi. E' pieno di riferimenti del mio mondo, dal cinema alla musica, e ogni disegno è abbinato a una canzone, da ascoltare in cuffia mentre ti guardi i particolari".

Quanto tempo hai impiegato a realizzarlo?
Qualche mese. Durante il tour della scorsa estate approfittavo delle mie giornate di stanchezza totale nei day off per rilassarmi veramente facendo questi disegni.

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Cosa riesci a esprimere con le illustrazioni dove la musica non arriva?
Tra tutte le arti il disegno è la valvola di sfogo massima per arrivare dove non si potrebbe normalmente. Infatti disegno cose assurde, dai pop corn nel cervello agli unicorni per arrivare al paradiso dei calzini, quel luogo dove finiscono tutti i calzini che spariscono dalle nostre case. C'è un riferimento a Mel Brooks, Ima Suma, l'usignolo delle Ande, che è la veggente di Dream City. E John Belushi proprietario di un chiringuito in Messico.

Come è nata l'idea del libro?
In realtà questa proposta mi è caduta in testa quando alla presentazione del mio disco una giornalista che collabora con Mondadori ha visto gli originali delle illustrazioni che faccio sempre per i miei dischi. Mi ha detto che assolutamente avremmo dovuto fare un libro. Inizialmente ho detto 'ok' in punta di piedi. Però devo dire che sono partita dai disegni: tutto quello che c'è scritto l'ho creato dopo aver deciso quali sogni far realizzare a Dream City. 

I disegni sono venuti fuori quasi come un flusso di coscienza?
Diciamo che prima sono andata sul personale e poi sull'universale. Chi non vorrebbe volere nuotare nell'aria o mangiare le nuvole? Per "Nuotare nell'aria" mi ha ispirato la musica, perché è una meravigliosa canzone dei Marlene Kuntz, mentre mangiare le nuvole è uno dei miei desideri di quando ero bambina.

Tra quelli realizzabili qual è il tuo sogno più importante ora?
In realtà ce ne sono. Più o meno tutti quelli che abbiamo messo in piazza si possono fare. Da smettere di credere alle favole e imparare a costruirsi la propria favola, piuttosto che riuscire a parlare tutti la stessa lingua. C'è un quartiere che si chiama "New Babel" dove si parla l'emoji, abbastanza comprensibile a tutti. Rappresenta il bisogno di ritrovarsi perché oggi siamo tutti più social ma al tempo stesso socialmente molto più inutili. E' un po' come quando faccio una canzone: metti dentro quello che vivi e sensazioni del pomeriggio.

Dj, cantante, conduttrice televisiva e radiofonica, illustratrice di sogni... Hai deciso cosa vuoi fare da grande?
Sì, l'ho sempre saputo. A cinque anni puntavo il dito alla televisione dicendo "Io andrò lì a cantare", e c'era Sanremo, con Mia Martini. Non potrei mai abbandonare la musica. Però come dipingevo da piccola o giocavo a basket, ci sono tante passioni che sono limitrofe alla musica.

Stai preparando qualcosa?
Ho finito il tour e sono andata un po' in vacanza. E come sempre quando inizio a vivere inizio a scrivere. Sono andata in Libano, come ambasciatrice, dai bambini rifugiati siriani. Tutte queste cose le sto metabolizzando. A partire da questo diritto di sognare dei bambini la cui vita è segnata dalla guerra.

E' necessario portare le proprie idee nella musica?
Io credo che la musica non debba essere politica, ma al tempo stesso chi ha una voce un pochino più forte, se vede delle ingiustizie, deve farla sentire. Se parliamo di guerra è difficile dire chi ha torto o chi ha ragione, ci sono un milione di domande senza una risposta. Quello su cui però siamo tutti d'accordo è che i bambini in una situazione come quella sono innocenti. E quindi al grido di "indigenz vous" di Stephen Hessel, quando ci vuole ci vuole. Oggi siamo abituati a un linguaggio molto forto, soprattutto sui social, spesso chiusi 140 caratteri, troppo poco per esprimere un concetto. Per fortuna io certe cose nella società non le vedo. C'è tanto odio quando ci si può nascondere, ma allora vale meno.

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