Fresco di ingresso nella rock’n’roll Hall of Fame con i suoi Roxy Music, Bryan Ferry è arrivato a Foggia per l’unica data italiana del suo tour, in occasione dell’edizione spring del Medimex. Un’ora e mezza di show tra grandi successi solisti e dei Roxy, davanti a 15mila persone entusiaste.
Per il festival organizzato da Puglia Sounds la ciliegina sulla torta e per molti fan del sud Italia un”occasione unica per ammirare un artista che non ha solo lasciato un’impronta decisiva con la propria produzione ma è risultato seminale per decine di artisti nati e diventati celebri dagli anni 80 in poi. Non a caso fan sono accorsi non solo dalla Puglia ma da buona parte delle regioni limitrofe. A quasi 74 anni Ferry riesce ancora a trascinare ed affascinare con uno spettacolo compatto, dai tempi perfetti e della eleganza inappuntabile. Merito anche di una band superlativa, esaltata da un suono limpido e definito come è raro sentire in un appuntamento live, in cui spicca la sassofonista e tastierista Jorja Chalmers, acclamata dal pubblico quasi quanto il front man.
Con una sciarpa al collo per proteggersi dalla brezza pungente della serata foggiana, Ferry si è presentato sul palco alle 21:30 spaccate, aprendo le danze con “The Main Thing”, da “Avalon”, l’album commercialmente più fortunato dei Roxy. Seguita a ruota da “Slave To Love” e “Don’t Stop The Dance”, due dei principali successi della sua discografia solista di metà anni 80. Salto indietro di più di 40 anni con “Ladytron”, dall’album di debutto dei Roxy. La scaletta intreccia pezzi solisti a quelli della band esattamente come nel corso della sua carriera, almeno fino a un certo punto, Ferry ha portato avanti in parallelo le due strade. Ecco così “Tokyo Joe”, dal suo album “In Your Mind” del 1977 e “Oh Yeah”, una delle più note del gruppo, da “Flesh+Blood” (1980).
Ferry si alterna tra piano e fronte del palco, mentre la band mette in mostra tutta la sua qualità con gli assoli di Chris Spedding alla chitarra e una sezione ritmica composta da Luke Bullem e Jerry Mehaan, potente e che non perde un battito. Senza contare Marina Moore, determinante alla viola e violino. Gli anni sulla voce di Ferry si fanno un po’ sentire ma lui sopperisce con classe ed esperienza cavandosela egregiamente eccezion fatta per “More Than This”, dove la parte in falsetto lo mette a dura prova. Tra i momenti più coinvolgenti del concerto un’intesa “Don’t Think Twice”, cover di un brano di Bob Dylan con Ferry accompagnato solo dalla sua armonica e dal tastierista Richard Cardwell, e una strepitosa “Editions of You”. Chiusura perfetta con la struggente “Jealous Guy” di John Lennon seguita dalla festa sulle note di “Let’s Stick Together”.