Un hamburger di Wagyu giapponese, della prefettura di Kagoshima, in foglia d’oro alimentare 24k da mille euro al kilo: è l’ultima trovata del macellaio napoletano Antonio Di Sieno, in arte “Trippicella”, quasi una risposta italiana alla bistecca d’oro di Salt Bae. Di Sieno, a cui piace definirsi macellaio 3.0 per la sua capacità di coniugare, in modo sorprendente, tradizione e innovazione, non è infatti nuovo a queste brillanti (anzi geniali) invenzioni.
L’ultima, in ordine di tempo, è stata per esempio quella del Rosso Vesuviano, un maiale allevato allo stato brado, per 14/16 mesi, sulle pendici del Parco Nazionale del Vesuvio secondo l’antica tradizione vesuviana. Sempre in tema hamburger, è stato l’ideatore dell’hamburger di Simmental, fatto con la razza di bovino originaria della Valle della Simme in Svizzera, che ovviamente non ha nulla da vedere con la ben nota carne in scatola.
Da non dimenticare anche il sushi di carne, realizzato con Wagyu giapponese dalle mani della chef giapponese Noriko Ide: bocconcini di riso, carne cruda di alta qualità e salsa di soia.
Quella di Trippicella, a cui piace guardare all’eccellenza di ogni dove, è in sostanza una “Meat Innovation”, un progetto che punta da un lato al recupero e alla valorizzazione di tagli poco ambiti o scomparsi – come la coppa di testa, la matrice e il ventre – e dall’altro, alla sperimentazione e ricerca dell’hamburger perfetto. Come? Utilizzando blend di carni pregiate e diverse, come cervo e grasso di Mangalica, capriolo e lardo di Patanegra, cinghiale e grasso di maiale beneventano. Il tutto sempre condito con tecnica, profonda conoscenza della materia prima, grande creatività e voglia di percorrere strade non troppo battute.
Antonio, classe ’79, è la quarta generazione di macellai che muovono i primi passi nel lontano 1940 in quel di Pollena Trocchia, un paesino a 15 chilometri da Napoli. Antonietta e zia Mariuccia, le matriarche, macellavano e vendevano le carni che producevano in autonomia, fin dopo la Seconda Guerra Mondiale. Con Antonio, il figlio di Antonietta, nasce anche il soprannome “Trippicella”, per via delle frattaglie che nel dopoguerra erano essenziali per andare avanti, in quanto soldo dato in cambio della macellazione.
Negli anni ’60, a continuare il percorso è Enzo, il figlio di Antonio, che inaugura così la terza generazione di Trippicella. E che insegna al figlio Antonio a lavorare la carne, a trattarla con rispetto, e a capire il cliente. Antonio però è un ribelle, e non si accontenta di seguire solo gli insegnamenti del padre: inizia così a cercare la sua strada. Ad Antonio piace la carne saporita, quella che diventa esperienza per il palato.
Un pizzico di megalomania lo fa uomo alla ricerca dell’eccellenza, spingendolo ad approfondire la professione del macellaio, incontrando quelli più bravi, e cercando le tecniche più raffinate. Perché, come dice sempre, la carne non è un alimento necessario, e per questo deve essere sublime. Il risultato è che Antonio sta rivoluzionando l’acquisto della carne e a testimoniarlo è anche il concept nato qualche anno fa nel quartiere di Chiaia (nel cuore di Napoli): un locale che è una macelleria gourmet e insieme una braceria di qualità, dove i piatti della tradizione vengono rivisitati e affiancati a vini e birre artigianali.
Ma torniamo all’hamburger d’oro. Che è un preparato d’eccellenza che utilizza la miglior Wagyu che viene importata in Italia e che è stato presentato alla scuola di cucina “Dolce e Salato” di Giuseppe D’Addio nell’impiattamento dello chef Antonio Tecchia del San Cristoforo di Ercolano, con emulsione di lupini di mare e sfere di colature di alici.
Un buon hamburger, per essere tale, deve soddisfare alcune caratteristiche: «Non devono restringersi in cottura – spiega Antonio – devono mantenere un buon livello di liquidi, e rimanere compatti durante la cottura. In questo caso ho bilanciato i diversi tagli di questo animale giapponese nella giusta percentuale per ottenere un prodotto eccellente. Un blend tra le parti più e meno grassose, quelle più marmorizzate come il top entrecote, un pezzo di fesa e meno marmorizzato, il collo più succoso. Tutto impreziosito dall’oro alimentare». E alla domanda del perché ha scelto proprio il bovino della prefettura di Kagoshima, Antonio spiega che oltre ad essere finemente tenera, la sua carne si differenzia da quelle delle altre zone per il suo delicato e deciso sapore umami del grasso, dovuto dalla consistenza della marmorizzazione, con una bassa temperatura di fusione a causa della grande quantità di acidi grassi insaturi.
Per poter assaggiare questa autentica prelibatezza è necessario prenotarla nel suo quartier generale di Madonna dell’Arco (in via arco 235 – a due passi dal Santuario), a Sant’Anastasia.
Di Indira Fassioni www.nerospinto.it