L'Italia sblocca gli immobili sequestrati a Gheddafi ma resta aperta la questione delle azioni del Rais a Piazza Affari
Uffici, alberghi e terreni per un valore superiore a 1,1 miliardi di euro tornano nella disponibilità del fondo sovrano libico Lafico
Nel 2012 - dopo l'attacco Nato contro la Libia - il Tribunale internazionale dell'Aja aveva chiesto e ottenuto alla Guardia di Finanza il sequestro dei beni di Gheddafi in Italia: un patrimonio composto da beni immobili (uffici, alberghi e terreni per un valore superiore a 1,1 miliardi di euro) e da beni mobili (quote azionarie in società del calibro di Eni, Juventus, Fca, Cnh I.). Adesso, dopo sette anni, il Comitato di Sicurezza Finanziaria del Ministero del Tesoro ha sbloccato gli asset immobiliari della famiglia del defunto rais.
I beni immobili scongelati dal nostro Paese tornano adesso nelle disponibilità della
Lafico, l'autorità per gli investimenti all'estero voluta da Gheddafi già negli anni Settanta e poi nel 2006 inglobata nella
Lia (Lybian Investment Autority). Le ricchezze del dittatore derivavano dall'attività estrattiva del
petrolio e spetterebbero quindi al popolo libico, attualmente spaccato in due da una
guerra civile senza fine.
Il nodo da chiarire è, infatti, per conto di chi operi la Lia in un paese, la Libia, che vive ancora nel caos, divisa tra i due uomini forti del momento (il generale
Haftar e il leader
Fayez al-Serraj). Il paese ha due esecutivi, due capitali (Trobuk e Tripoli), due diversi parlamenti, parecchie milizie antagoniste a spartirsi il territorio e due banche centrali. Delle due entità statali, a raccogliere l'eredità della famiglia Gheddafi dovrebbe essere quella riconosciuta da Roma (e cioè Tripoli) ma la partita non è del tutto chiusa.
Nessuna decisione, infatti, è arrivata sulle
partecipazioni azionarie del rais. La Lafico detiene infatti, lo 0,58% del capitale di
Eni, l'1,26% di
Unicredit, il 2% di
Leonardo (ex Finmeccanica), l'1,15% della
Juventus, lo 0,33% della
Fca (ex Fiat), lo 0,33% di
Cnh. E queste quote potrebbero non essere state liberate già in questo momento per tendere una mano al generale Haftar.
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