Donatella Ricci è una donna che non ha paura di volare in alto. Lo ha dimostrato chiaramente nel novembre del 2015, quando ha conquistato, dopo undici mesi di accurata preparazione, il record mondiale assoluto di quota, raggiungendo con il suo velivolo, un autogiro Magni M16, l’altezza di 27.556 piedi, pari a 8.399 metri. Tutto questo con un piccolo apparecchio privo di abitacolo, che un’amica illustre di Donatella, l’astronauta Samantha Cristoforetti, ha affettuosamente definito “un frullino”. In effetti, per raggiungere questa quota da vertigine, alla quale tra l’altro si incrociano le rotte di crociera del traffico aereo commerciale, Donatella ha sfidato il freddo glaciale delle alte quote (fino a 48 gradi sotto lo zero), la burocrazia, mille difficoltà, i limiti del suo mezzo e del suo fisico. Tgcom24 si fa raccontare la sua avventura.
Come spiega nel suo libro “Il record di volo in autogiro – 8933 metri sopra il cielo” di Mursia Edizioni, l’idea di scalare il record di quota è nata per caso, da un volo effettuato all’inizio del 2015 nel quale, per evitare un vento inatteso, Donatella si è trovata molto, molto in alto. Tanto da far un po’ impensierire il suo compagno, l’aviatore e istruttore di volo, Erich Kustatscher, e gli altri amici aviatori della comitiva. A Donatella invece l’altezza piace tanto che l’idea di migliorare il record di quota comincia a farsi strada in lei. L’autogiro, il piccolo velivolo scelto per l’impresa, è un velivolo dotato di un rotore simile a quello dell’elicottero, che assicura la portanza, e di un’elica posteriore, che fornisce l’energia motrice e il dislocamento. Solo l’elica posteriore è collegata al motore: il rotore gira per effetto del vento, un po’ come fanno le girandole. Dato che il pilota non è chiuso in un abitacolo, Donatella nei voli in alta quota ha indossato un vestiario particolare, a strati e in parte riscaldato elettricamente, e una maschera per avere ossigeno a sufficienza.
Donatella, perché sfidare le grandi altezze proprio con un mezzo così piccolo e dall’apparenza così fragile?
L’autogiro è una mia passione speciale: è una macchina divertente che mi piace considerare la moto dell’aria. Mi dà la sensazione di volare all’aperto, con il vento a contatto sul viso e sulle braccia, proprio come andare in moto. Di solito si vola a 300-500 metri di quota, per cui si vedono panorami stupendi, ma non si perde il contatto con la terra e con la natura: l’autogiro non ha l’abitacolo, così lassù arrivano tutti i profumi della campagna e, dato che la velocità è relativamente bassa, dal 120 ai 160 chilometri all’ora, i paesaggi scorrono lentamente e si ammirano scenari splendidi. Ci si sente davvero a contatto con la natura.
Quindi un apparecchio del genere non è fatto per le grandi altezze.
In effetti, la prima parte del lavoro è stato proprio capire se il mezzo e il mio fisico erano in grado di affrontare quelle quote. Nel lungo cammino di preparazione mi ero data delle tappe, proprio per verificare queste cose: i 20mila piedi (circa 6mila metri) per testare la macchina, e una soglia per il mio fisico e la mia paura. L’autogiro ha dimostrato di reggere benissimo: abbiamo apportato solo alcune piccole modifiche, per ottimizzare la quantità di benzina che si miscela all’aria nel carburatore quando si raggiunge le altezze in cui l’atmosfera è più rarefatta. L’altro limite, invece, il mio personale, non l’ho incontrato.
Mai avuto paura in queste salite vertiginose?
Una volta sì. A pochi giorni dal tentativo del record mi sono trovata ad affrontare condizioni meteo particolari e non previste. Era una giornata apparentemente bellissima, ero già arrivata a quota 25mila piedi, per arrivare al record ne servivano 27. 200. Durante la salita, ho trovato molto più freddo di quanto mi aspettassi: man mano che salivo gli strumenti elettronici cominciavano a funzionare male, la cloche di manovra è diventata dura da manovrare, l’iPad e l’IPhone con alcuni dati necessari per il volo si sono spenti appena entrati a contatto con l’aria gelida. Quando ho visto che temperatura esterna era arrivata a -45 gradi ho cominciato davvero ad avere paura: non sapevo se i comandi della macchina si sarebbero bloccati. L’autogiro non saliva più e, quando ho visto che la temperatura era a -48 ho capito che dovevo scendere. Appena ho messo il muso in basso ho cominciato a sentire davvero il freddo. Non ho mai sentito davvero freddo durante la salita, forse perché ero tutta concentrata sull’obbiettivo da raggiungere, ma in discesa ho sempre sofferto di più. Quella volta la discesa è stata lunghissima.
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Un’impresa del genere richiede uno staff nutrito e lei invece ha fatto tutto da sola o quasi.
Non è proprio così. Non ho avuto uno staff di professionisti, ma sono stata aiutata da moltissime persone che mi hanno aiutata ad orientarmi tra le attrezzature che servivano per il volo, la documentazione per la certificazione del record i tanti problemi che si presentavano via via. La famiglia Magni, i costruttori dell’autogiro, è stata assiduamente con me sul campo di volo per la messa a punto, la manutenzione e i controlli tecnici necessari all’apparecchio. Un’amica alpinista mi ha istruito su come utilizzare la bombola dell’ossigeno e un altro collega mi ha aiutato a risolvere il problema della bombola di ossigeno di riserva, un aspetto che mi preoccupava molto. Intorno a me c’è stato un gioco di squadra incredibile. Un po’ artigianale, forse, ma assolutamente efficace.
Il suo club di volo si chiama Papere Vagabonde. Ospita, tra l'altro, un’iniziativa bellissima: l'iniziazione al volo per i disabili.
Il club è nato circa 30 anni fa e ora ha sede a Caposile, in provincia di Venezia. In questa zona vivono moltissime papere e visto che all’inizio dovevamo cambiare spesso sede, eravamo un po’ nomadi: ecco dunque la ragione del nome. Oltre ad essere frequentata da moltissime donne, la struttura è una delle poche abilitate al volo per i disabili. L’iniziativa si chiama WeFly e permette di prendere il brevetto di volo anche a persone con disabilità agli arti inferiori, grazie ad apparecchi con strumentazione modificata, per dimostrare che in cielo non ci sono barriere. C’è anche una pattuglia di aviatori, composta in gran parte da disabili, che si chiama ironicamente “Associazione dei Baroni Rotti”.
Il suo volo di domenica 8 novembre 2015 le è valso in realtà ben nove record mondiali: nelle tre categorie Autogiro Assoluto, Autogiro Femminile e Autogiro Ultraleggero ha conseguito il primato di quota senza carico (8399 metri), tempo di salita a 6mila metri (25 minuti e 40 secondi) e tempo di salita a 3mila metri (13 minuti e 44 secondi). Fino a questo momento abbiamo visto come li ha realizzati. Ma ora vorrei chiederle: perché lo ha fatto?
Sono un tipo grintoso e mi è sempre stato difficile accettare certi ruoli, specie quelli che vogliono le donne nella parte di quelle che dicono “non ce la posso fare”. Per me è stata una sfida, soprattutto perché il mondo dell’aeronautica è un universo fortemente maschile.
Lei non ha paura di volare in alto. Ma che direbbe a chi invece ha questo timore?
Sul campo di volo direi di provare comunque l’esperienza e di venire a scoprire come è bello guardare le cose dall’alto. Una prova serve a conoscere e ad avvicinarsi. Affrontare le paure nella vita è più difficile e ciascuno deve fare come si sente: la paura in fondo può essere anche un fatto positivo. Certo bisogna provarci, ma se si arriva a un certo punto e non ci sentiamo di andare oltre, vuol dire che, in fondo, va bene così.