La Procura di Milano ha aperto un'inchiesta per omicidio volontario sulla morte di Imane Fadil, la modella di origini marocchine di 34 anni testimone chiave dell'accusa nei processi sul caso Ruby. La donna è deceduta il 1° marzo presso l'Humanitas, dove era ricoverata da fine gennaio. Lo ha riferito il procuratore di Milano Francesco Greco, spiegando anche che la teste aveva detto a familiari e avvocati che temeva di essere stata avvelenata.
Le autorità hanno disposto l'autopsia sul corpo della donna, che presenta "segni di avvelenamento". Secondo le indagini, la modella è morta dopo un mese di agonia. Ricoverata all'Humanitas di Rozzano (Milano) il 29 gennaio prima in Terapia intensiva e poi in Rianimazione, è stata vigile fino all'ultimo, nonostante i forti dolori e il "cedimento progressivo degli organi". La cartella clinica della Fadil, attualmente al vaglio degli inquirenti, presenta alcune "anomalie" che "non sono riconducibili a malattie certificate".
Fonti sanitarie: "Morta a causa di sostanze radioattive" - Da quanto si è appreso, la 34enne è risultata negativa agli esami che le erano stati effettuati per capire se facesse uso di sostanze stupefacenti. Mentre dalle analisi disposte lo scorso 26 febbraio ed effettuate da un centro specializzato di Pavia, non lascerebbero dubbi: gli esiti, arrivati il 6 marzo, parlano di morte causata da un mix di sostanze radioattive
L'Humanitas ha fatto sapere che "al decesso della paziente, il 1 marzo, l'Autorità giudiziaria ha disposto il sequestro di tutta la documentazione clinica e della salma. Il 6 marzo, la struttura ha avuto gli esiti tossicologici degli accertamenti richiesti e lo ha prontamente comunicato agli inquirenti". L'ospedale "ha messo in campo ogni intervento clinico possibile per la cura e l'assistenza" della donna e per il rispetto della privacy "non rilascerà ulteriori commenti su nessun aspetto di questa vicenda".
Imane Fadil, insieme a Ambra Battilana e Chiara Danese, aveva raccontato agli inquirenti delle serate hot ad Arcore. Le tre giovani, che avevano chiesto di costituirsi come parti civili, erano però state escluse dal filone principale del processo Ruby ter. I giudici della settima sezione penale, davanti ai quali si celebra la tranche principale del processo che vede imputati Silvio Berlusconi e altre 27 persone per corruzione in atti giudiziari, avevano infatti ritenuto che i reati contestati non ledessero direttamente le tre, ma "offendessero" lo Stato.
Imane, Ambra e Chiara avevano anche intavolato una trattativa con la senatrice di Forza Italia Maria Rosaria Rossi, fedelissima di Berlusconi, per un risarcimento in sede stragiudiziale. Da indiscrezioni era trapelato che avessero chiesto danni per due milioni di euro. L'accordo, però, non era stato raggiunto e le trattative erano saltate.
Le tre donne, a quel punto, avevano chiesto di costituirsi parti civili anche in una altro filone del processo, che vede imputati Berlusconi e la showgirl Roberta Bonasia e che è pendente davanti ai giudici della quarta sezione penale. Presto il caso verrà riunito con quello principale. A margine di una delle udienze, a cui non mancava mai, la modella 34enne aveva raccontato che stava scrivendo un libro sulle "cene eleganti".