Disturbi alimentari, il grido sordo del Sud: "Mancano gli strumenti per curare chi soffre"
I 142 servizi presenti sul territorio non sono distribuiti in modo equo tra le regioni italiane. Anche il Centro non brilla, ma vanta strutture d’eccellenza che elevano gli standard. Tgcom24 ne ha parlato con le associazioni locali e con gli esperti
Sviluppare un disturbo del comportamento alimentare rappresenta già di per sé un problema ostico da affrontare. Ma la situazione è ulteriormente aggravata dall’insufficiente offerta assistenziale. Come si evince dalla mappa dei centri dedicati al trattamento dei dca in Italia, c’è una forte discrepanza tra le strutture esistenti nelle diverse regioni, con una criticità più marcata nel Sud Italia. I 142 servizi presenti sul territorio sono distribuiti per il 52% al Nord, per il 27% al Centro e solo per il 21% al Sud.
Occorre poi aggiungere che il numero di servizi in sé non corrisponde alla reale situazione assistenziale. I centri indicati sulla mappa, infatti, non sono tutti completi, nel senso che in molti di questi non sono presenti i quattro livelli di assistenza in cui si articola il trattamento dei dca (ambulatorio, day hospital, ricovero ospedaliero, ricovero riabilitativo residenziale e semiresidenziale). Considerando che
solo nove regioni vantano una rete assistenziale completa, coloro che abitano in quelle meno virtuose - al Sud e nelle Isole in particolare - sono costretti a rivolgersi a strutture extraregione. “La carenza dei servizi, la mancanza di una rete completa in tutti i suoi livelli e la poca comunicazione e coordinazione tra i servizi della rete inficia nella continuità assistenziale, punto cruciale per l’efficacia del trattamento terapeutico dei dca”, spiega Laura Dalla Ragione, psichiatra, psicoterapeuta, direttore della rete Dca Usl 1 dell’Umbria e responsabile scientifico della mappa, del sito e del numero verde dedicato ai disturbi alimentari.
I numeri - Alcune regioni del
Centro-Nord sono dotate di centri d’eccellenza (Umbria, Emilia Romagna, Lombardia e Veneto) ma non mancano anche qui esempi meno virtuosi (Marche, Abruzzo, Molise, Piemonte). Decisamente grave - considerando anche la sua vastità - la situazione del
Lazio (Roma, la capitale, ha solo 2 ambulatori), che nel 2017 ha autorizzato ben 160 invii fuori regione. Le cose - come si è detto - non migliorano al Sud e nelle Isole. In
Sicilia, ad esempio, i ricoveri extraregionali nel 2017 sono stati 106.
Puglia, Calabria e Campania sono dotate di una legislazione completa che prevede tutti i livelli di cura, ma allo stato attuale trova scarsa applicazione. Ciò comporta un aumento vertiginoso di ricoveri nelle strutture virtuose. Nel 2017 solo in
Umbria sono stati accolti 107 pazienti provenienti da altre regioni. Al centro Villa Miralago, in
Lombardia, 58 (i dati, elaborati da Consult@Noi, sono da considerarsi incompleti, in quanto si basano sulle risposte ottenute solo da una parte delle strutture presenti sul territorio italiano).
Campania - "A livello legislativo in Campania non siamo messi male, il problema è che poi la teoria non trova riscontro nella pratica. All’inizio del 2018, in provincia di Salerno è stato inaugurato un centro pubblico pilota residenziale per il trattamento dei dca. Ma nelle altre province la gestione dei casi è solo ed esclusivamente a carico delle Unità Operative di Salute Mentale ex Dsm, in regime ambulatoriale che - oberate di lavoro e non avendo in molti casi un’equipe multidisciplinare formata per l’accoglienza e il trattamento dei pazienti - non riescono a dare un’adeguata risposta alle richieste di cure. Si agisce con troppa flemma. A Caserta e dintorni, ad esempio, c’è il deserto", dichiara
Rita Merola, vicepresidente dell’Associazione Emmepi4ever (Caserta).
Sicilia - Per la Sicilia,
Santina Alfonzetti dell’Associazione Onlus per Adriana di Catania ha riportato una situazione di estrema criticità: "Una ragazza malata di disturbi alimentari, una volta tornata a casa dopo un ricovero extraregionale, non dovrebbe scervellarsi per trovare una possibile soluzione. Dovrebbe essere indirizzata e accolta senza difficoltà. Se in Sicilia avessimo dei centri d’eccellenza, le giovani saprebbero su chi fare affidamento, avrebbero un punto di riferimento. Invece sono sballottate a destra e a manca, sono stanche. È anche per questo che rifiutano di curarsi". Eppure dalla mappatura non sembra che la regione sia sprovvista di centri, anzi. "Non si tratta di strutture specializzate - continua - Non sono conformi a quanto richiesto per i trattamenti, mancano i quattro livelli di assistenza. Per lo più si tratta di ospedali, tra cui Dipartimenti di Neuropsichiatria infantile dove vengono curati solo i minorenni. I maggiorenni, spesso, vengono curati al Sert, insieme ai tossicodipendenti. Ci siamo battuti affinché le cose cambiassero, ma finora non è accaduto. Il diritto alla salute è un diritto di tutti. Non ci sono persone di serie A o B. Non deve esistere distinzione di età, sesso o classe sociale".
Il dialogo con le istituzioni regionali e nazionali è costante, ma l’emergenza assistenziale persiste. "Siamo sempre punto e accapo - chiosa Alfonzetti - Non capisco perché non si creino strutture, qual è la motivazione? Come associazione l’abbiamo chiesto più volte all’assessorato regionale e la risposta che ci è stata data è che non si raggiungerebbe un numero di pazienti sufficiente a giustificare l’apertura di un centro. Com’è possibile visti i dati relativi ai disturbi alimentari? Noi continueremo a batterci perché le famiglie hanno bisogno di aiuto".
Sardegna - Sul territorio sardo non esiste allo stato attuale alcuna struttura pubblica o privata convenzionata altamente specializzata nella cura dei dca e completa nei livelli di assistenza, nemmeno i due centri indicati sulla mappa del ministero (la Clinica di Neuropsichiatria dell'Infanzia e dell’Adolescenza a Cagliari, che prende in carico solo i minorenni, e l’Asl 2 Sardegna - Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze - Dsm-D a Olbia). "In Sardegna la situazione è drammatica, siamo molto in ritardo in relazione ai centri specializzati e la formazione è scarsa, lo è sempre stata. Le persone che soffrono di dca spesso non vogliono curarsi. Decidono di lasciarsi morire, è come una protesta silenziosa. Ma se e quando decidono di chiedere aiuto non trovano medici adeguatamente formati che le sappiano guidare nel percorso di guarigione", afferma
Elisabetta Manca di Nissa, presidente dell’Associazione Voci dell’Anima, onlus di genitori e familiari di persone con dca.
Qualcosa, però, finalmente si sta muovendo. "A Cagliari - aggiunge - sta nascendo un ambulatorio che al momento è in via di formazione. Tale servizio, sito all’interno del Dipartimento di Salute Mentale, per ora opera una volta a settimana (comunque insufficiente). La formazione è curata dalla dott.ssa Laura Dalla Regione. La referente del ministero non si sta muovendo solo nel capoluogo sardo. Sta formando gli operatori delle Asl in varie sedi per dare vita almeno nelle città più importanti a degli ambulatori, che rappresentano il primo step nella cura dei disturbi alimentari. Per quanto ci si stia dando da fare, purtroppo nel settore pubblico si procede con lentezza. Al contrario, nel settore privato le cose stanno andando avanti più rapidamente, nel senso che esistono alcuni luoghi di cura validi. Noi come associazione continueremo a lottare affinché la Sardegna si doti dei quattro livelli di assistenza. I dca devono essere curati in tutto il territorio nazionale con pari dignità", conclude Manca di Nissa.
"Da noi a Cagliari, il paziente vede le tre figure che sono il medico, lo psicoterapeuta e il nutrizionista e quindi segue una terapia in cui deve gestire in autonomia - chiaramente in base alle indicazioni ricevute - i pasti a casa”, racconta
Lorella Melis, psicologa e psicoterapeuta specializzata nel trattamento dei disturbi alimentari e dell’obesità del Centro Disturbi Alimentari e Obesità della Casa di cura polispecialistica Sant’Elena (Quartu, Cagliari), che conta circa 100 pazienti all’anno. "Essendo un centro privato, però, capita che molti chiamino ma poi non inizino le cure perché non è convenzionato. Questo è un grosso limite, potremmo aiutare tantissime persone che, però, decidono di rinunciare perché le cure sono costose. Mi domando, allora, per quale motivo centri come il nostro, che già esistono sul territorio e che portano il loro contributo nella cura dei disturbi alimentari, non vengono messi in evidenza dalla Regione? Il paradosso è che poi magari in una Asl sono inserite figure che non hanno mai lavorato con i disturbi alimentari e chi ci lavora da dieci anni non viene nemmeno preso in considerazione", tuona la psicologa.
Non solo. Esiste anche un altro aspetto non trascurabile sottolineato dalla dott.ssa Melis: "Mi è capitato di riaccogliere delle pazienti che erano tornate in Sardegna, dopo un percorso di cura extraregionale, senza aver scardinato completamente il disturbo. Quando questo accade, le ragazze perdono la fiducia, la motivazione. Una circostanza che diventa per loro - soprattutto se si parla di adolescenti - un’ulteriore carta da giocare con i genitori per non continuare le cure. Una condizione perversa in cui è ancora più difficile aiutare i giovani. Così i tempi si allungano e il tutto peggiora".
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