Per recuperare il denaro necessario a giocare alle slot machine, una 52enne di Milano costringeva una delle due figlie a prostituirsi. L'altra figlia, una 12enne, veniva invece offesa, picchiata con i fili elettrici, e la madre ha perfino tentato di spingerla al suicidio. La donna è stata arrestata dai carabinieri per maltrattamenti in famiglia, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione.
La ragazzina ha chiesto a scuola se la prostituzione era reato - Le idagini dei militari sono partite a luglio quando, dopo un incontro in una scuola nella zona sud di Milano per parlare di bullismo, un'insegnante ha ricevuto una strana domanda da parte della 12enne. La ragazzina, infatti, chiedeva se fosse reato prostituirsi e da lì sono partiti gli accertamenti nei suoi confronti.
La famiglia - La figlia maggiorenne che è stata costretta a prostituirsi ha 22 anni. Lei e la sorella sono figlie di padri diversi che sono separati dalla donna e non vivono a Milano. La ragazzina 12enne, oltre ad essere stata insultata e picchiata, veniva costretta a fare i lavori domestici, a portare la spesa e fare commissioni per conto della madre. Iniziando a tenere d'occhio lei, dopo quella domanda che aveva fatto insospettire l'insegnante, i militari hanno scoperto che la sorella più grande era costretta alla prosptituzione. La madre, 52 anni, è stata portata a San Vittore.
La madre spendeva alle slot fino a 400 euro al giorno - La donna arrestata arrivava a spendere anche 400 euro al giorno giocando alle slot machine del bar sotto casa. Per questo motivo spingeva la figlia maggiorenne a frequentare night club del centro di Milano dove avrebbe più facilmente incontrato clienti facoltosi.
La figlia piccola parlava con una madre immaginaria - La 12enne non è stata coinvolta nel giro di prostituzione ma in moltissime occasioni la madre le ha rivolto offese ed epiteti tanto duri che in un'intercettazione gli investigatori hanno sentito la bambina, per sfogarsi, parlare da sola a una madre immaginaria a cui ha confessava di volersi uccidere perché incapace di vivere in quel modo.