L'entrata in vigore, nel 2016, del bail-in "è stata affrettata, in quanto ha preceduto un suo essenziale presupposto di funzionamento, ossia la costituzione da parte delle banche di una dotazione di passività idonee a essere assoggettate a riduzione o conversione in nuovo capitale". Lo afferma Bankitalia, aggiungendo che la misura che prevede che siano azionisti, obbligazionisti e correntisti a pagare in caso di crisi della banca "è inapplicabile".
La Banca d'Italia chiede insomma una revisione delle regole europee nella gestione delle crisi bancarie, a partire da quelle del "salvataggio interno". Ora serve un'interpretazione più flessibile tenendo maggiormente conto degli effetti sulla "stabilità finanziaria e la crescita economica". Tornato nell'attualità politica con l'accusa, poi ritrattata, del ministro Tria alla Germania di averlo imposto, il bail-in è però ora iattuabile.
L'elemento mancante - Il meccanismo manca infatti di un elemento fondamentale: le banche non hanno ancora costituito quella "riserva" di passività sottoscritte da investitori professionali e non piccoli risparmiatori da usare in caso di dissesto. L'obbligo delle norme (Mrel, il minimo requisito di fondi propri e altre passibilità soggette al bail-in) scatterà infatti solo dal 2024. Nei giorni scorsi anche il presidente dell'Abi, Antonio Patuelli, aveva chiesto una revisione delle norme aprendo un confronto in Europa e permettendo, così come auspicato anche da Via Nazionale, l'impiego dei fondi di garanzia di depositi a scopo preventivo.
Una scelta "affrettata" - Il responsabile della vigilanza, Carmelo Barbagallo, sottolinea quindi che l'entrata in vigore del salvataggio interno nel 2016 fu "affrettata" proprio perché mancò la sincronia con il Mrel che ancora difetta. Il capo della vigilanza, che affrontò lo scorso anno con sedute fiume la commissione d'inchiesta sulle banche, ribadisce come nel 2013 la Banca d'Italia avvisò dei rischi e della necessità di una fase preparatoria più lunga. Il consenso su quella proposta, però, non arrivò mai e l'Italia al momento del voto in Europa non poté esprimersi contro, pena uno stigma del mercato fortissimo contro i suoi istituti di credito.
"Occorre utilizzare i fondi di garanzia" - Ora però, suggerisce Via Nazionale, serve una riflessione internazionale che tenga conto dell'esperienza fatta (in Italia soprattutto con le due banche venete e Mps) e della maggiore flessibilità adottata peraltro negli Stati Uniti e in Giappone. Occorre consentire l'uso dei fondi di garanzia dei depositi a scopo preventivo (la Ue lo ha impedito nel caso Tercas e limitato per Carige) e non applicare le stesse norme alle grandi e alle medio-piccole banche. A queste, infatti, non di interesse pubblico (e lo sono solo un centinaio su tremila della zona euro) resta la sola liquidazione coatta in caso di problemi.
Rischi per piccole e medie imprese - Un meccanismo che comporta una spinta a una "eccessiva concentrazione" del comparto bancario con il rischio di penalizzare il finanziamento alle piccole e medie imprese. Certo gli istituti minori devono aggregarsi e mettersi assieme per cedere gli Npl. Così Banca d'Italia torna ad esortare "le banche di piccola dimensione" a "conseguire economie di scala che consentano di investire adeguatamente in nuove tecnologie e di smaltire più agevolmente i crediti anomali, attraverso l'attivazione di forme di cooperazione più stretta o di processi di consolidamento".