È la testimonial dell'impresa sarda che si innova, dopo aver ereditato il lavoro dal nonno pastore; dal 2005 è stata più volte premiata per originalità e sensibilità green anche dal Ministero della Politiche agricole. È semplice, di poche parole, "ho poco tempo, scusi la fretta, sono immersa in un mare di latte", risponde. Ma in queste settimane di guerra degli allevatori sardi non è rimasta a guardare. Monica Saba, titolare del minicaseificio "Genn'è Sciria", ad Arbus, in Sardegna, con pecore nere e capre, durante le proteste, in segno di solidarietà, ha trasformato in formaggio anche il latte di altri allevatori che erano nell'impossibilità, per il blocco del lavoro nei caseifici, di poter conferire la materia prima appena munta. "Diversificare l'offerta e innovare - è la soluzione alla crisi attuale che propone a Tgcom24. - Cosa alla quale non si è puntato fino a ora".
Nella guerra del latte partita dalla Sardegna, qual è la sua posizione? Che parte ha avuto nelle proteste?
"Prendere posizione è difficile, è una situazione che si trascina da troppo tempo e ora è esplosa anche in una forma che non condivido. Non condivido in primis lo spreco di latte, perché è un bene di prima necessità che accomuna sia gli uomini che gli animali. Non siamo imprenditori industriali, siamo pastori e la protesta non deve diventare terrorismo. Così sta passando un brutto messaggio, con tutte le ragioni possibili. Capisco la rabbia, ma c'è un limite".
Cosa si augura al tavolo per il latte convocato dal premier Conte con i pastori, insieme al Ministro dell'Agricoltura, di giovedì 21 febbraio?
"Sono sarda anch'io e conosco bene i sardi, un popolo fiero e orgoglioso. Ma ora bisogna un attimo mettere da parte l'orgoglio, senza creare altro caos. I 72 centesimi di partenza possono andare bene, se poi gradualmente si arriverà all'euro più iva promesso. Il governo, da parte sua, deve valorizzare le eccellenze. Tra l'altro in questo momento si parla solo di latte ovino e non di latte caprino e suoi derivati, dalle proprietà organolettiche ancora più salutari".
È speranzosa per il voto di domenica 24 in Sardegna?
"Ho visto che tutti i candidati hanno inserito nel programma il settore agro-pastorale che rappresenta proprio l'economia della Sardegna. Basti pensare che in questo territorio siamo un milione e mezzo di abitanti e tre milioni di pecore. Sono un po' disillusa dalla politica, però, perché finora ho visto solo promesse".
Ma come si è arrivati a questa situazione di crisi?
"Si parte da lontano. Non ho seguito da vicino la vicenda in sé del pecorino romano, ma in tanti nell'arco del tempo hanno sbagliato. E se qualcuno ha delle colpe deve prendersi la sua responsabilità. La nota più dolente è la burocrazia, perché il burocrate è lì per volontà politica, non per meritocrazia, e gli industriali sguazzano in questo mondo, delocalizzando, con contributi statali, per esempio in Romania. E poi come sono fatte queste ricerche di mercato?".
Qual è la via di uscita?
"Proporrei una soluzione in tre punti. Partendo dalla Sardegna stessa, che ha una posizione particolare, al centro del Mediterraneo: potrebbe diventare la piattaforma dell'agroalimentare non solo sardo, ma italiano, e far tornare così a girare la nostra economia sul Made in Italy per il cibo così come è sempre stato per l'Alta Moda. Il secondo punto è tornare alle origini, riscoprendo la nostra identità. Quando poi impareremo a sapere vendere i nostri prodotti in porti, aeroporti, in punti cioè strategici, basandoci su ricerche di mercato serie non ce ne sarà per nessuno. Perché bisogna ricominciare a consumare locale, senza nulla togliere agli altri mercati. Attraverso etichette trasparenti alla fine sarà sempre il consumatore a scegliere, ad avere l'ultima parola. Infine, diversificare l'offerta, cosa che per il pecorino romano non si è pensato fino a ora. Senza dimenticare che l'agro-alimentare fa da traino ad altri importanti settori, come il turismo".
Ma cosa significa in concreto "diversificare l'offerta"?
"Bisogna prendere spunto da altre realtà: per esempio guardiamo ai francesi, che sono leader nel nostro settore. Abbiamo tanto latte da trasformare, ma bisogna vedere cosa chiede il mercato, per primo quello locale. Nel caso della mia azienda abbiamo capito che non vuole più sempre lo stesso prodotto tradizionale, così come agente cagliante usiamo il cardo mariano. E poi, per esempio, produciamo tomini aromatizzati. In sintesi è importante anche saper comunicare i propri ottimi prodotti".
La soluzione può essere nazionale?
"Tutta Italia si contraddistingue nel mondo per le sue eccellenze agro-alimentari. Quindi la mia è una ricetta di innovazione che può essere nazionale: valorizzare il locale, le piccole realtà produttive e saper comunicare".
L'esempio della sua azienda, tra tradizione e innovazione. Quali sono le difficoltà più grandi?
"La verità? Penso poco alle mie difficoltà. Mi sono sempre schierata per fare aggregazione sui punti critici che coinvolgono il nostro mondo. Non sprechiamo adesso questa occasione di farci sentire e finalmente contare".