E' uscito dalla prigione mentale in cui si era ritrovato rinchiuso in "Prisoner 709" e ora attraversa una selva metaforica superata la qualche non sarà più lo stesso. "Exuvia", il nuovo lavoro di Caparezza, prosegue il lavoro di ricerca su se stesso dell'artista pugliese, che questa volta si interroga sul suo passato, sul presente e su un futuro incerto. "Il disco racconta un cambiamento - dice -. Sono cambiati i miei interessi, è cambiato il mio suono".
Caparezza è un caso praticamente unico nel panorama musicale italiano. Non solo per una questione prettamente musicale, con uno stile inconfondibile, con una riconoscibilità capace di essere impermeabile anche ai continui mutamenti di direzione. Ma soprattutto per l'atteggiamento nei confronti della musica. Quella di Michele Salvemini, alias Caparezza, è una continua, costante evoluzione all'insegna della ricerca sempre più complessa e stratificata, che diventa per lui tanto più difficile nel momento in cui l'artista ci lavora sopra per rendere pensieri, parole e riferimenti accessibili a tutti, anche se a diversi livelli. Non è un caso se ormai, in un panorama discografico che ha fatto della bulimia la sua cifra, con canzoni e dischi buttati fuori a getto continuo per non sparire dai radar di media e social, il tempo medio di realizzazione di un album per Caparezza sia ormai di quattro anni. E più si va avanti più la cosa si fa complessa, come recita il pezzo di apertura "Canthology": "Ho capito che il secondo album era più facile dell'ottavo". "Nel caso del secondo album mi stavo reinventando - spiega -. Questo è il più difficile se non altro perché arriva dopo altri sette lavori. Gli argomenti iniziano a diventare pochi. La fiamma deve essere forte per portarti a fare un disco che abbia un senso. E per me è quella la cosa importante: non voglio fare dischi belli. Preferisco fare un disco magari brutto ma con un senso".
Ed "Exuvia", oltre a essere un bellissimo lavoro, un senso lo ha. E anche forte. Un senso che si dipana lungo ben 19 tracce, anche se 5 sono in realtà interludi recitati di pochi secondi, in cui trovano spazio il passato, recente e remoto, con cui fare i conti, il rapporto con la natura, il potere di indossare una maschera per affrontare la vita, il rapporto con la morte. Tutto costruito con una miriade di riferimenti colti che vanno da Federico Fellini a Beethoven passando per Stanley Kubrick, Giacomo Leopardi, Lewis Carroll, Franz Kafka e Mark Hollis. Senza che questo significhi mai sfoggio di erudizione fine a se stesso e compiaciuto. "Non voglio passare per il rapper acculturato - sottolinea Caparezza -. Tutte le citazioni sono lì perché sono cose che ho appreso per curiosità. Il mio mondo non è più quello dei cartoni animati, ho lì una Playstation a prendere polvere, i miei interessi adesso sono altri. Non li voglio sbandierare, sono utili a capire perché scrivo in questo modo".
Se l'exuvia è ciò che resta dell'esoscheletro dopo la muta di un insetto, immagine concreta di un passato ormai superato, l'exuvia più significativa per Caparezza si chiama Mikimix, la sua prima incarnazione artistica, risalente agli anni 90, che lui ha a lungo ripudiato e con cui oggi fa pace, parlandone in una canzone ("Campione dei Novanta"). "Se sono qui adesso lo devo anche quel mezzo passo falso - ammette -. Per me un mezzo passo falso perché ho iniziato dalla parte sbagliata. Il rap nasceva nei centri sociali, in un ambito molto combat, e io facevo Castrocaro. Se penso a quel periodo penso a un periodo in cui mi mordevo le dita". Detto questo se si guarda intorno ora il metro di giudizio cambia. Caparezza ammette di avere un problema con il rap attuale ("Mi dicono che forse non lo capisco, io ho il sospetto che proprio non mi piaccia") e con la qualità di molta musica in circolazione ("Mikimix oggi sarebbe Bob Dylan").
Ma il problema con il presente non è solo musicale. In "Come Pripyat" (il riferimento è a una città costruita nei dintorni di Chernobyl e ormai divenuto un insediamento fantasma in preda alla radiazioni - ndr) racconta di un contesto mutato a livello di valori e idee. "Analizzo il mio presente e lo vedo estraneo, c'è spaesamento - dice -. Sono cambiati i riferimenti culturali, è cambiato il modo di fare politica: ne prendo atto". Un cambiamento che può riguardare anche certe campagne di opinione condotte soprattutto a livello social e mediatico. "Nel tempo ho capito che certe cose lasciano il tempo che trovano, c'è bisogno di azioni concrete - afferma -: i cartelli o le foto con le scritte sui social? Gli hashtag? Non ci credo più. Serve agire". Per esempio appoggiando la protesta di "Bauli in piazza" o anche facendo lavorare quasi esclusivamente maestranze pugliesi per la realizzazione del disco.
Inevitabile affrontare in questo contesto la polemica del momento su Primo Maggio, un palco che Caparezza in passato ha calcato più volte, e Fedez. "Credo che il suo discorso sia condivisibile - dice -. Mi ha anzi sorpreso che abbia suscitato così tanto clamore. Ma probabilmente se ne parla tanto perché lo ha detto lui che è un personaggio molto popolare. Però so come finirà: non succederà niente, si parlerà della polemica fine a se stessa e non dei contenuti".
Qualcuno ha ipotizzato che questo per Caparezza potesse essere l'ultimo album. Lui non smentisce ma nemmeno conferma, non avendo idea di cosa potrà riservargli il futuro. "Beh, può dipendere da me ma anche dagli eventi - spiega -. Quando ho fatto 'Museica' poteva essere l'ultimo e così non è stato. 'Prisoner 709' sono stato tentato a lungo di metterlo in un cassetto e lasciarlo lì. Poi invece ho pensato che poteva essere parte di una trilogia su prigionia, fuga e libertà. E quindi mancherebbe una terza parte che però è tutta da inventare. Mi sono lasciato aperto una finestra. Ma ancora non so cosa ci farò".
Anche perché lo sguardo di Caparezza al momento non si spinge più in là di questa uscita. "Finalmente ci siamo arrivati. Per me è la fine definitiva di un percorso - dice -. Questo mi impedisce di concentrarmi su altro, compreso il tour che è già fissato per il 2022. Quando sarà il momento comunque penserò a qualcosa di molto teatrale nel mio stile".
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