Emergenza Xylella, "è un problema di sicurezza nazionale: a rischio la tradizione agricola italiana”
Un miliardo di euro di danni economici, aziende costrette a chiudere e altre a trasferirsi all’estero. A Tgcom24 parla Leonardo Capitanio, presidente dell’Associazione Nazionale Vivaisti Esportatori
“La Xylella è un problema di sicurezza nazionale. Questa batteriosi vegetale sta mettendo a rischio il mondo vivaistico italiano”. Leonardo Capitanio, presidente dell’Associazione Nazionale Vivaisti Esportatori e proprietario di un’azienda agricola a Monopoli (Ba), parla così dell’emergenza Xylella che sta affliggendo gli agricoltori pugliesi e non solo. Ad oggi, il danno economico, come ha dichiarato Michele Emiliano governatore della Regione Puglia, è pari a circa un miliardo di euro. Da qui, la decisione del governo di inserire nel decreto Semplificazioni un emendamento che prevede l’arresto per chi non eradicherà le piante infette. Ma per gli agricoltori potrebbe non essere abbastanza.
Capitanio, come giudica le ultime mosse del governo?
Proporre l’arresto per chi non eradica è una buona idea, soprattutto perché incide molto a livello mediatico. Aiuta la gente a capire quanto grave sia questa emergenza. Ma arriva troppo tardi. Se questa decisione fosse stata presa prima, magari il batterio non si sarebbe diffuso in modo così capillare.
Quali sono gli interventi politici che richiedete?
E' necessario in primo luogo che ci si rapporti alla Xylella come a un’emergenza nazionale. Il batterio è un mostro che non conosce confini, non è un problema solo dei pugliesi. Anzi, è una questione che coinvolge in primo luogo l’Italia e poi tutta l’Europa. Sono stati trovati ceppi infetti in Germania, Spagna e Olanda. Bisogna agire, quindi, con scelte coraggiose.
Cosa intende per scelte coraggiose?
Per esempio, aprire il discorso su come combattere l'insetto vettore, che trasmette la Xylella da una pianta a un'altra. Basti pensare che per eliminare il fastidio delle zanzare, in estate viene disposta una disinfestazione ogni settimana quasi in tutti i centri d'Italia, mentre per la Xylella, solo quattro in un anno. Però se tutti vogliamo gli insetticidi contro le zanzare, nei campi agricoli lo stesso trattamento causa preoccupazioni e proteste.
Questa situazione può essere una conseguenza delle innumerevoli fake news diffuse sul tema?
Sicuramente lo è. Infatti ho presentato un esposto alla Procura contro coloro che hanno diffuso falsità e allarmismi sul tema. Stiamo dimostrando come dietro questa disinformazione si nascondano dei profitti. Decine persone hanno interessi a pubblicare bufale sulla Xylella. Ma bisogna fare chiarezza: gli agricoltori non sono contadini romantici, sono invece imprenditori consapevoli che in agricoltura le malattie si curano con la chimica. Non è niente di nuovo, funziona da sempre così e tutti i vivaisti lo sanno bene.
Economicamente, quanto è costata la Xylella ai vivaisti pugliesi?
Un dato esatto non c’è, perché manca un osservatorio che possa fornire numeri precisi. Come presidente dell’Associazione Vivaisti Esportatori, posso dire che si sono persi decine e decine di milioni di euro di fatturato. Il problema è che per il solo fatto di avere la propria azienda in un territorio colpito dalla Xylella, è vietato commercializzare alcune piante. Parliamo di rosmarino, oleandro e agrumi, circa il 30% delle piante prodotte in Puglia. Poco importa che queste piante siano sane: se si è in zona infetta, il regolamento europeo vieta l’esportazione. Per chi come me ha un’azienda dedicata quasi esclusivamente all’export questo è un duro colpo. Anche perché oramai il mondo è diffidente verso gli italiani, a causa di come è stata gestita questa situazione. Anche se si certifica che le piante sono sane, i clienti internazionali comprano sempre meno prodotti italiani, tanto più se coltivati nel sud Italia.
Come affrontano questi problemi le aziende?
C’è chi, come me, ha spostato parte della produzione dalla zona infetta verso un’altra parte della Puglia. Questo ha un costo enorme, perché le nostre produzioni richiedono ettari e ettari di terreno. Altri, addirittura, si sono spostati in Albania, per superare la diffidenza dei clienti verso le produzioni italiane. C’è chi poi ha convertito la produzione dell’azienda e ora non coltiva più ulivi o oleandri, ma si dedica alla realizzazione di giardini. Un'attività con pochi rischi e bassi guadagni. Infine, più di un terzo delle aziende hanno chiuso battenti: sono soprattutto quelle a conduzione familiare, incapaci di affrontare i costi di queste trasformazioni.
Sono previste agevolazioni o aiuti economici per gli agricoltori colpiti dalla Xylella?
Se ne parla tanto, ma per ora non è arrivato neanche un euro. Solo pochissime aziende, nel 2015, hanno ottenuto pochi spiccioli perché hanno richiesto fondi per danni da calamità naturale. Ma la perdita per la Puglia e l’Italia non è solo economica. Il nostro paese è noto per la sua storica tradizione vivaistica. Siamo per questo invidiati in tutto il mondo. Queste competenze, però, si stanno perdendo. È dura vedere aziende che rinunciano alle loro millenarie tradizioni per dedicarsi alla realizzazione di giardini o alla coltivazione di qualche pianta stagionale “usa e getta”. La produzione di piante si può fare dove si vuole, ma perdere quella storicità e quelle competenze è una cosa molto triste. In alcuni territori, oramai, non si possono più vendere neanche pomodori e cime di rapa, il simbolo della Puglia nel mondo.
Come vede il futuro delle coltivazioni in Puglia?
Con il passare degli anni divento sempre più pessimista. A meno che Ministero e Regione non adottino immediatamente politiche davvero serie e coraggiose, la Xylella avanzerà fino ad attaccare tutta l’Europa. La Xylella stravolgerà il territorio, il paesaggio e il lavoro nei luoghi colpiti. E questi non sono ipotetici scenari, ma è quello che è già successo in Centro America, dove da anni lottano contro questo batterio. Con il tempo ci si adatterà: si perderanno le piante millenarie come quelle dell’ulivo per far spazio a coltivazioni a ciclo breve, che non daranno tempo alla Xylella di far danni. Dal punto di vista produttivo questa può anche essere una buona soluzione, ma a livello sociale, storico e paesaggistico comporterà la perdita di qualcosa che non si recupererà più.
SU TGCOM24