Torna in Italia Steven Wilson, l'artista inglese che ha dato un nuovo significato al prog-rock del nuovo millennio. Sulla scia del suo ultimo lavoro, "To The Bone", dopo le due date del 2018 Wilson sarà protagonista il 13 febbraio all'Auditorium Manzoni di Bologna e il 14 al teatro Creberg di Bergamo. "E' più di un anno che sono in tour, grazie al successo dell'album - dice a Tgcom24 -. Ancora poche settimane e mi metterò al lavoro per il nuovo disco".
Riassumere la carriera di Steven Wilson in poche righe è impresa quasi impossibile. Se i suoi Porcupine Tree, al debutto a metà anni 90, sono stati visti come gli eredi migliori dell'art-rock dei Pink Floyd, Wilson ha affiancato al percorso con la band progetti paralleli che mischiavano l'elettronica (No-Man con Tim Bowness) o il rock più tradizionale (i Blackfield con Aviv Geffen). Con gli stessi Porcupine ha poi allargato i propri orizzonti esplorando lidi dove il rock duro aveva un'influenza importante. Se il primo lavoro solista, "Insurgentes", del 2008, poteva rientrare ancora in un'ottica di sperimentazione parallela all'attività del gruppo, oggi Wilson è un artista solista, il cui ultimo lavoro, "To The Bone", è anche il più fortunato tra quelli da lui pubblicati.
Torni in Italia dopo il successo dei concerti della scorsa estate. In questa nuova tranche di tour hai cambiato qualcosa?
Essenzialmente è sempre la produzione del “To The Bone Tour”. I visual sono quelli, così come gli effetti di luce e la scaletta è ovviamente impostata soprattutto sulle canzoni di "To The Bone". Ma ci sono delle differenze. In particolare in questa parte del tour abbiamo inserito dei pezzi che non facevo da tempo e che addirittura non avevo mai fatto. E’ uno show che cambia gradualmente con il tempo. Prima di tutto in modo da mantenere alta la mia attenzione e quella della band, ma anche perché siamo consapevoli che stiamo tornando in Paesi che avevamo già visitato, e spesso anche nelle stesse città, e quindi ci sembra giusto offrire qualcosa di diverso. Ogni volta che torniamo in una città in cui siamo già stati guardo cosa abbiamo suonato la volta precedente e cerco di mettere in piedi uno spettacolo che sia il più diverso possibile.
Tra i pezzi nuovi che hai inserito c'è "Blackfield", la title track del primo album dell'omonimo progetto parallelo con Aviv Geffen, che non avevi mai eseguito in un tuo concerto...
Sì, è vero. E’ una canzone che amo molto ed è anche molto popolare tra la gente che mi segue e quindi abbiamo iniziato a suonarla in quasi tutti i concerti, nei bis.
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Tu hai sempre avuto tanti progetti, dai Porcupine Tree ai No-Man, passando per Blackfield e i lavori solisti. Ma in passato erano tutti mondi che non si parlavano. Ora invece consideri il tuo lavoro come un corpo unico dal quale puoi scegliere le canzoni che preferisci?
Il punto principale è che ormai la mia carriera solista va avanti da quasi otto anni, ormai si è stabilizzata. Chiunque guardi a quello che faccio ora mi può vedere come un solista. Questo non è un progetto parallelo e nemmeno un qualcosa di temporaneo, ma è ciò che faccio. Una volta compreso questo sono più tranquillo nel guardare al mio catalogo passato. E comunque suono solo le canzoni che sono state scritte da me. Non farei mai un pezzo dei Porcupine Tree composto da tutto il gruppo. Queste sono le mie canzoni e posso scegliere tranquillamente quali fare in concerto. Parliamo di brani che ho scritto molto prima che diventassero un pezzo dei Blackfield o dei Porcupine Tree. E qualche volta devo anche ricordarlo ai miei fan: è normale che la gente le riconosca come un pezzo dei Porcupine o un pezzo dei Blackfield. Ma in realtà sono tutte canzoni mie.
Hai pubblicato "To The Bone" più di un anno e mezzo fa. Da allora sei stato in un tour e hai pubblicato un album dal vivo. Come giudichi questo periodo della tua carriera?
E’ stato un ciclo molto lungo, soprattutto rispetto a quello che ero abituato a fare in passato. “To The Bone” è stato sicuramente l’album di maggior successo della mia carriera, e le richieste di concerti si sono susseguite senza sosta. Il che è fantastico ma il risultato è che sono stato in tour più di un anno. Che per me è una cosa bellissima ma al tempo stesso frustrante perché significa l'impossibilità di essere creativo e lavorare su cose nuove. Non sono il tipo che compone intanto che è in tour, ho bisogno di isolarmi in studio e concentrarmi al 100% su quello che sto facendo. Ho buttato giù qualcosa, ma se ne avessi avuto il tempo probabilmente sarei molto più avanti del punto a cui sono oggi. Sono stato in Australia e in Giappone per la prima volta, ora torniamo in Paesi che abbiamo già visitato. E tutto per via del successo del disco. Bellissimo, ma non vedo l'ora di tornare in studio a lavorare sulle nuove canzoni.
Il fatto che sia il disco che il tour abbiano avuto questo successo rischia di essere un peso psicologico nel momento in cui devi scrivere nuova musica?
Sinceramente, se tutto questo fosse accaduto qualche anno fa, quando avevo 25 anni o giù di lì, credo che avrei avvertito della pressione, l’obbligo in qualche modo di replicare questo successo. Ma oggi ho 51 anni e sono diventato piuttosto cinico nei riguardi dell’industria discografica. Ma in una maniera positiva. Ho avuto talmente tante esperienze che ho capito che l’unico modo per me di far funzionare le cose è di concepire la mia musica in modo assolutamente egoista. La differenza tra un intrattenitore e un artista è che il primo fa di tutto per accontentare il proprio pubblico, il secondo pensa solo a fare ciò che gli piace e gli dà maggiore soddisfazione. E io mi riconosco nella seconda figura: non ho mai cercato di solleticare il gusto dei mie fan. E sono stato molto fortunato perché ho trovato un pubblico che mi ha seguito senza che dovessi pensare cosa potesse piacergli. Probabilmente questo è il segreto: la gente mi rispetta perché non pensa che la stia blandendo.
Hai già in mente in quale direzione vuoi andare con il prossimo disco?
Di sicuro il prossimo album sarà molto diverso da "To The Bone". Già le prime cose che ho scritto sono molto diverse. Ho un'idea. Gli ultimi tre o quattro album che ho fatto sono stati in modo diverso un omaggio al passato. "Insurgentes" guardava agli anni 80 più dark mentre "To The Bone" al pop più sofisticato dello stesso decennio, "The Raven" invece era un omaggio agli anni 70. Ora voglio realizzare un disco che sia completamente immerso nell'oggi, qualcosa con un sound che non potrebbe appartenere ad altro che al 2019. Ma non me la sento di dire di più, spero che quando lo ascolterete capirete cosa intendevo dire.
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