Da solo in scena, per un lungo flusso di coscienza sull’esistenza e il valore del tempo nelle nostre vite. Francesco Mandelli si presenta a teatro in una veste decisamente diversa dal passato per "Proprietà e atto (esilio permanente)", un testo di Wil Eno, in scena al teatro Leonardo di Milano dal 14 al 17 febbraio. "Voglio fare cose nuove, anche a costo di dire dei no - spiega Mandelli a Tgcom24 -. Mi piace la sfida".
"Proprietà e atto (esilio permanente)" è idealmente un terzo tempo, dopo "Thom Pain" e "Lady Grey", di riflessione sull’esistenza e il valore del tempo nelle nostre vite. Eno, celebre drammaturgo del teatro minimale americano, già finalista Pulitzer per la sezione Teatro con "Thom Pain" nel 2005, in WProprietà e atto" con ironia e sarcasmo, senza dimenticare le digressioni poetiche a cui la sua scrittura ci ha abituato, concentra la sua riflessione sulla vita come stato di esilio permanente. Il testo, attraverso un sinuoso scorrere di aneddoti e visioni particolari, parla del nostro essere "senza dimora" in questo mondo. Divaga sul significato e l’impronta che lasciano le parole nel vivere quotidiano, sul senso della memoria e sulla solitudine. "Siamo in giro dal 7 dicembre - spiega Mandelli -. Queste prime date erano previste solo come un inizio per permettere al pubblico di scoprire il testo, così come a chi può essere interessato a proporlo, perché è una cosa insolita per me".
Come è stata la reazione del pubblico a questa tua nuova veste?
Io mi aspetto sempre che venga sorpreso, spiazzato. In un mondo regolato dai "mi piace" e dai "non mi piace", che sono limitanti, io rimango sempre piacevolmente colpito da chi mi sorprende.
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Vederti in un ruolo come questo è sicuramente sorprendente...
Voglio fare cose nuove, anche scegliendo. Il che vuol dire spesso dover dire dei no, soprattutto al cinema dove tendono a riproporti ruoli in linea con quelli avuti in passato e che hanno avuto successo. A me piace invece la sfida.
In questo contesto come è nata l'occasione di fare qualcosa di così diverso?
L'occasione è nata grazie alla Bam, società che conoscevo perché aveva prodotto dello stesso autore "Thom Pain" con Elio Germano. Ho letto il testo e me ne sono innamorato subito, e ho voluto farlo con tutto me stesso. Sono stato molto fortunato perché non è facile che ti capiti l'occasione di fare un testo così.
Non hai avuto esitazioni quindi?
C'era la consapevolezza della difficoltà, anche i dubbi del genere "sarà in grado di farlo?". Ma sono io abbastanza fatalista e credo che uno si attiri in qualche modo le cose che desidera molto.
Qual è stata la difficoltà maggiore nell'affrontare un testo di questo tipo?
C'è stato impegno e ricerca. Il testo lo leggi una volta e capisci la sua bellezza ma poi devi scendere dentro ogni singola parola per farlo davvero tuo. E poi banalmente è stato un esercizio di memoria impegnativo: è un monologo di un'ora, 20 pagine scritte in modo complicato, come un lungo flusso di coscienza. Ma comunque è ancora un cantiere aperto. E' un monologo che in realtà è un dialogo, il rapporto con il pubblico è fondamentale. Non ci entri ed esci facilmente. Ed è molto diverso da tutto ciò che ho fatto in passato al cinema, dove era richiesta anche una spontaneità, un freschezza. Qui invece è necessaria una riflessione.
Questa esperienza teatrale fa parte di un tuo percorso di crescita che comprende anche il romanzo "Mia figlia è un'astronave" e il prossimo film che ti vedrà alla regia.
E' un momento molto bello. Non è che dici "oggi sono cambiato" perché hai fatto questa o quella esperienza. Ho sempre visto questo lavoro sulla lunga distanza, e ogni esperienza è un piccolo passo per arrivare alla meta. Non ho perso l'ironia. Lo spettacolo è una manata pesante ma si sorride, c'è un'ironia sottile. E il libro è nato dalla voglia di raccontare quello che sono io in questo momento.