Cyberbulli, l'argine del social media coach: "Dobbiamo educare i ragazzi al web"
Nove adolescenti su dieci navigano senza alcun controllo da parte dei genitori: è uno dei dati dall'analisi della no profit "Social Warning-Movimento Etico Digitale", fondata da Davide Dal Maso
In occasione della Giornata nazionale contro il cyberbullismo e alla vigilia del "Safer Day", giornata per la sicurezza in rete istituita dalla Commissione europea, l’Osservatorio della no profit "Social Warning-Movimento Etico Digitale", gruppo spontaneo di formatori volontari fondato dal 23enne social media coach Davide Dal Maso per sensibilizzare ragazzi e genitori sulle potenzialità e sui rischi del web, rende noti i risultati dell’indagine che ha coinvolto circa 10mila giovani di età compresa tra i 12 e i 16 anni. Nove adolescenti su dieci navigano in rete senza alcun controllo da parte dei genitori, quattro su dieci anche dopo le 23. Un dato allarmante, ma "attenzione, - spiega Dal Maso a Tgcom24 – il web non va demonizzato. Sta agli adulti non lasciare soli i ragazzi ed educarli all’esplorazione della rete cosicché possano sfruttarne il lato positivo, diventare utenti attivi e sfuggire in autonomia ai pericoli. Etica e web possono e devono coesistere, bisogna però cambiare il modo di educare i ragazzi alla rete".
Chi è Davide Dal Maso - Docente e coach di Social Media Marketing, nato ad Arzignano nel Vicentino, classe 1995, Dal Maso è anche il "prof." più giovane d’Italia (insegna "social media e promozione online"). Nel novembre scorso, presso la Luiss Business School di Roma, gli è stato conferito il
“Premio Italia Giovane” per "la sua storia, esperienza personale e professionale nel settore Social Warning - Contrasto al cyberbullismo". A 20 anni ha fondato la no profit
Social Warning-Movimento Etico Digitale (tra i temi che i formatori-volontari affrontano nei loro interventi nelle scuole medie e superiori di tutta Italia: cellulare in classe sì o no, gaming e dipendenza da Fortnite, fake news, hikikimori e blue whale).
Dai vostri dati emerge che il 40% dei ragazzi si interfaccia con sconosciuti diventando facile bersaglio di possibili malintenzionati e il 58,9% è online dopo le 23. Eppure i vostri interventi sono focalizzati sulle enormi potenzialità della rete più che sui rischi...
Sì, credo sia fondamentale portare ai ragazzi degli esempi concreti di come da utenti passivi (caso in cui è più probabile diventare bersagli facili) si possa diventare attivi e, anzi, utilizzare il web come un luogo in cui acquisire delle competenze. Skills che, in futuro, potranno essere utili nella ricerca del lavoro, com’è accaduto a me. Infatti, durante la formazione nelle scuole, racconto sempre di quando avevo 13 anni e giocavo a Travian, un programma che mi aveva permesso di creare e gestire un team di cinquanta persone. Ecco, giocando ho acquisito delle competenze che ora mi tornano utili, perché come governavo l’alleanza una volta, adesso guido l’associazione di volontariato.
A proposito del suo percorso, lei si definisce un social media coach, può spiegarci di cosa si tratta?
Come social media coach affianco le aziende formando il personale sull’uso dei social. Sono un consulente che aiuta a creare delle strategie per il lancio di diversi prodotti. A vent’anni ho iniziato a mettere le mie competenze a disposizione delle imprese. E ora mi guadagno da vivere proprio grazie al web.
A 14 anni lei ha temuto di ritrovarsi vittima di cyberbullismo. Ora utilizza quest’esperienza personale per metterla al servizio degli altri e creare del bene. Quanto le è servita per fare il suo lavoro?
Spesso in classe non rispondevo alle domande che mi venivano fatte proprio perché avevo paura di essere filmato e che poi il video venisse diffuso sul web. Questo è, diciamo, un primo step di cyberbullismo. Io ero super timido e sentivo la pressione, avevo paura. Di conseguenza non alzavo la mano e non andavo volontario all’interrogazione. Ero condizionato. Questa situazione è durata due anni. Ma non ero l’unico. I miei amici, compagni di classe e coetanei avevano problemi ben peggiori dei miei. A 16 anni, ho iniziato a reagire e a chiedermi: "Come mai io Davide riesco ad usare il web in modo costruttivo e positivo, mentre tanti altri ragazzi lo usano in modo negativo?". Da quel momento ho capito che utilizzando in modo positivo la rete potevo sconfiggerne anche il lato oscuro. Stesso discorso per quanto riguarda la formazione: perché quando i formatori venivano a parlarci del web ci mostravano solo i rischi a esso legati o, addirittura, ci dicevano di non usare il telefono? Perché tentavano di spaventarci? Grazie alla mia esperienza, ho capito che proibire l’utilizzo degli smartphone non funzionava e non funziona tutt’ora. Anzi è controproducente. Quando si parla ai ragazzi di fenomeni come cyberbullismo o blue whale si rischia, inoltre, di generare in loro l’effetto opposto: l’emulazione. Anche i giovani che non conoscono il fenomeno possono incuriosirsi, andare a cercare di cosa si tratta e poi partecipare attivamente.
Cosa consiglia ai ragazzi che vengono bullizzati sul web?
Sicuramente di farsi affiancare attivamente da un adulto, parlarne con lui, questo è il metodo migliore per uscirne. Inoltre, anche il web può essere di supporto perché se parlo con persone che hanno il mio stesso problema, riesco a condividere i miei pensieri con qualcuno che mi capisce. Anche questo può aiutare.
Tornando ai dati dell'Osservatorio, il 92% dei ragazzi intervistati (9 su 10) quando è connesso alla rete è da solo (81%) o in compagnia di amici (11%). Solo l’8% lo fa in presenza dei genitori. Secondo lei, in che modo questi ultimi potrebbero concretamente affiancare i figli mentre navigano in rete?
Di certo i ragazzi tutte le volte che sono online non devono avere accanto i genitori. Ma questi ultimi possono adottare delle strategie di controllo ravvicinato, ad esempio, chiedendo: "Cosa si dice oggi su Instagram?" o giocando con loro alla playstation, soprattutto quando i giochi sono particolarmente violenti (lo stesso dovrebbe accadere con i programmi tv). I ragazzi, infatti, possono interpretare in modo sbagliato certe scene. In quel momento l’intervento di un adulto li aiuta a capire. Un’altra tattica sarebbe quella di utilizzare insieme Youtube, affinché i genitori possano comprendere cosa e come i figli cercano online, spiegare loro il perché di un suggerimento che compare, e riuscire così a capire come si muovono. E’ inutile mettere i blocchi ai programmi, tanto i ragazzi trovano il modo di utilizzarli.
Anche i genitori devono essere educati al web. In quest’ultimo anno avete fatto formazione a circa 3mila di loro. Come li avete aiutati?
Li facciamo seguire da formatori - anch’essi genitori - che utilizzano il web per lavoro. Questi ultimi danno loro delle dritte e suggeriscono delle regole da imporre in famiglia. Anche perché uno dei dati che emerge dall’analisi dell’Osservatorio è che più della metà dei genitori dei ragazzi intervistati non dà regole, non ha proprio idea dei dettami da poter dare ai propri figli nell’utilizzo del web. Tra le poche regole imposte c’è quella di "non usare più di un giga al giorno" come se la reale preoccupazione della famiglia fosse più economica che legata ai veri rischi del web. Dopo aver incontrato i genitori e detto loro tutto ciò, restiamo a disposizione per domande, mail ecc.
Quindi funziona così: un genitore ha bisogno di voi, vi contatta tramite il sito e voi lo aiutate gratuitamente.
Esatto, tutti i nostri interventi funzionano così. La scuola, il gestore, il preside ci contattano dicendo: "A noi piace il vostro approccio, a noi piace dare un’alternativa di utilizzo del web ai ragazzi". A questo punto, noi contattiamo il formatore della zona, che poi si reca a fare l’intervento.
E invece ai ragazzi che tipo di formazione fate?
Una formazione molto multimediale, orientata sempre più sulle potenzialità che sui rischi del web. Li coinvolgiamo, diamo loro task, compiti da fare per casa ed è super divertente vedere poi il risultato. Per esempio, i ragazzi di una scuola media veneta che abbiamo incontrato, tornati a casa ci hanno segnalato tutti i profili fake che trovavano, uno lo hanno perfino fatto chiudere. In sintesi, li aiutiamo ad adottare una serie di comportamenti che permettono loro di autotutelarsi online. E loro prendono questi esercizietti come un gioco. Il web per loro è un intrattenimento, è inutile anche solo pensare di farglielo temere.
Anche il ruolo degli insegnanti è importante. Di recente, si è discusso molto in merito all'uso dello smartphone in classe.
Come possono i docenti contribuire a educare i giovani a vivere con consapevolezza una parte integrante della loro vita, come quella online?
Un problema attuale in Italia è che gli educatori spesso si rifiutano di entrare in questo mondo, quantomeno per capirlo. Ma i ragazzi che hanno davanti trascorrono metà giornata online e quindi è fondamentale capire le dinamiche del web, entrare in contatto con esso e comprendere come i giovani si muovono. Personalmente, inoltre, sono a favore dell’utilizzo dello smartphone in classe a scopo didattico. Poniamo il caso che io sia un insegnante di inglese, per esempio, e che io dica "ok prendiamo il tablet o lo smartphone e impostiamo Wordreference come preferito o come app". In questo modo trasmetto al ragazzo un senso positivo dell’utilizzo dello strumento, cosicché quando non conosce una parola cerca su Wordreference cosa significa. Questo può essere un grande plus anche per la didattica in sé. E per la ricerca del lavoro in seguito. Una selezione su quattro richiede competenze digitali. Ma quando le vogliamo fornire ai ragazzi? Non è che siccome appartengono alla generazione Z, le hanno già. Bisogna aiutarli a coltivarle, dare loro degli spunti, in modo che anche loro si mettano in moto. Se andiamo a fare un giro sui siti di offerte di lavoro, ci sono moltissimi annunci legati al web, perché mancano persone che possiedono queste professionalità.
Lei lancia un messaggio di speranza. Dice: “Nella mia generazione ho tanta fiducia”
Sì. Direi a tutti i ragazzi di mettersi in gioco, di rendere il loro uso del web più attivo, di scoprire tutto ciò che c’è dietro la rete. Dai corsi online a come fare i video fino all’interazione con altre persone: si possono cogliere tante opportunità.
E in questo modo concentrandosi sul lato positivo, si sfugge al lato oscuro del web…
Esatto, come è successo a me. Io ho rischiato di diventare dipendente, stavo su Facebook tutto il giorno. Poi sono riuscito a creare alcune pagine utili. Questo cambiamento nell’uso del web è possibile se la generazione attuale impara a prendere il meglio del passato, vivere il presente e pensare al futuro. Questo è il nostro motto e il succo di tutto, perché se noi iniziamo a coniugare il bagaglio culturale che i nostri nonni ci hanno trasmesso con la competenza tecnologica - siamo cresciuti in quest’era, a differenza delle generazioni passate - possiamo cambiare il punto di vista della società e costruire un grande futuro.
Il vostro motto è appunto "Prendi il meglio dal passato, Vivi il presente, Pensa al futuro". Come consiglia di farlo al meglio?
E’ quasi un augurio, per far sì che i giovani non si concentrino solo su tutto ciò che è digitale ma vadano anche a riscoprire le proprie tradizioni. Ad esempio questo motto invita i ragazzi a stare in contatto con gli adulti e, allo stesso tempo, a sviluppare ulteriori competenze tecnologiche, senza diventarne dipendenti.
In accordo con la dirigenza della scuola ha ottenuto che dal prossimo anno scolastico la sua materia di insegnamento diventi "Educazione civica digitale". Come può questa disciplina aiutare a combattere il cyberbullismo?
L’"Educazione civica digitale" è il mio sogno. Nel corso impareremo regole e comportamenti per essere cittadini consapevoli e partecipi sia nel web che nella quotidianità e conosceremo i rischi della rete così da poter proteggere noi stessi e preservare gli altri. Su Facebook tutti si insultano ma poi di persona non avrebbero il coraggio di dire le stesse cose perché non sono educati a capire che è uguale: la diffamazione offline è uguale a quella online, la persona che c’è dietro lo schermo è una persona reale, uguale a quelle che incontri per strada. Occorre insegnare ai giovani a capire queste dinamiche e, così, ad allontanarsene. Per fare un’esempio, a settembre con il Movimento abbiamo incontrato un gruppo di ragazzi venuti a Vicenza per uno scambio europeo (un tot della Finlandia, un tot della Francia ecc.). I ragazzi finlandesi mi hanno detto una cosa che mi ha colpito tantissimo: loro su Youtube non usano AdBlock (il sistema di blocco per le pubblicità) perché vogliono supportare gli autori di contenuti. Pazzesco, ragazzi di 17/18 anni. Mi hanno spiegato che a scuola gli parlano della creazione/autocreazione di contenuti, di come funziona la pubblicità. Questo accade perché probabilmente loro sono più avanti sul versante educativo. Dobbiamo seguire questo esempio, partendo sin dalle elementari con interventi di educazione civica e digitale.
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