Nella capitale d’Italia è arrivato da pochissimo il sapore dolce del Sol Levante e a portarlo è stata la pastry chef giapponese doc, Hiromi, che ha voluto dare proprio il suo nome alla prima (e tutta al femminile) pasticceria tradizionale giapponese di Roma. Pochi metri quadri, pareti azzurre e un bancone dove sfilano piccole e colorate opere d’arte di sofisticata leggerezza, made in Japan ma anche d’ispirazione occidentale, Hiromi Cake si trova nel quartiere Prati, una delle zone che offrono oggi più spunti dal punto di vista gastronomico e ripropone la tipica ambientazione da izakaya, letteralmente “negozio di sakè dove ci si siede”. Qui Hiromi vuole diffondere la cultura wagashi, ossia la pasticceria tradizionale, che si basa prevalentemente su ingredienti di origine vegetale, ama le miniporzioni e viene servita come accompagnamento della cerimonia del tè, e avvicinarci a ingredienti ancora poco conosciuti da noi occidentali, abituati a vivere il Giappone attraverso sushi e sashimi.
Ma com’è questa pasticceria giapponese? È essenzialmente fatta di farina di riso, fagioli azuki, patate dolci, ma anche sesamo, soia, agar-agar (la gelatina vegetale di alghe), poco zucchero e predilige, come la cultura orientale ci insegna, l’aspetto estetico, fondamentale per questi gioielli artigianali, che devono appagare vista e gusto. Le preparazioni richiedono spesso, infatti, un’intera giornata di lavoro e fino a quindici passaggi. Tutto deve essere minuto, delicato e il gusto quasi sussurrato al palato, perché il vero obiettivo di questa arte dolciaria è di colpire tutti i nostri cinque sensi, per un mix indimenticabile di sapori ed emozioni.
Accanto ai classici wagashi ci sono poi gli yogashi, dessert rivisitati, d’ispirazione francese o americana, i cui elementi indispensabili sono il riso glutinoso, il tè Matcha, la frutta di stagione e la marmellata di fagioli anko. Pluripremiata per l’ecosostenibilità delle sue creazioni, Hiromi è andata nelle piantagioni di mango studiando una linea di dolci dedicata, utilizzando uno degli alimenti più costosi del mercato giapponese, ossessionata della perfezione della frutta esposta sui banchi.
Tra le specialità che potrete assaporare da Hiromi Cake ci sono i Mochi, riso bollito e modellato in polpettine con le guarnizioni più fantasiose; i Dorayaki, che hanno le sembianze di soffici pancake e racchiudono una farcitura di fagioli rossi o l’Oishi, dal giapponese “buono”. Tra i dolci giapponesi rivisitati ci sono, invece, il Kawaii, mousse di fragola con cuore di cioccolato su base di pasta frolla rifarcita di crema alle mandorle; il Fuji San, ossia la rivisitazione della Mont Blanc, con tortino ripieno di azuki (fagioli rossi), fagioli bianchi e Matcha; il Kurò, ossia una mousse al cioccolato fondente. E poi i dolci firmati Hiromi Cake: crostatine ripiene di cioccolato bianco, fagioli bianchi (italiani) e azuki, soufflé su base di frolla alla mela e cioccolato, mousse di tofu e mirtillo, mille crêpes al matcha, tutti decorati alla perfezione.
Un laboratorio in rosa, quello di Hiromi Cake (Roma - Via Fabio Massimo 31; Tel. 06 9799 8566 https://www.facebook.com/hiromicake/) che, oltre alla proprietaria accoglie altre tre ragazze giapponesi, che rifiniscono e compongono i dolci sotto lo sguardo curioso e attento dei clienti, continuamente spettatori di uno show cooking dal vivo.
Tutti i giorni, da mattina a sera, oltre alle monoporzioni, il cui costo oscilla tra i 2,80 e i 4,80 euro a pezzo, si possono ordinare torte, scegliere di sorseggiare caffè bio 100% Arabica, un cappuccino matcha nella versione in bicchiere a portar via o partecipare alla cerimonia light del tè.
Di Indira Fassioni www.nerospinto.it