Il Parlamento britannico ha respinto a grande maggioranza l’accordo sulla Brexit raggiunto dal primo ministro Theresa May con l’Unione Europea. Con 432 voti contrari e 202 favorevoli, è stata la più grande sconfitta per un governo a Westminster. In base a un emendamento approvato il 9 gennaio dai deputati della Camera dei Comuni, il governo sarà obbligato a presentare entro il prossimo 21 gennaio un "piano B" modificabile dal Parlamento. Quello che accadrà ora è molto difficile da prevedere. Ecco le ipotesi in campo.
Rinegoziare con l'Ue Molti deputati vorrebbero che May tornasse a negoziare con l’Unione Europea. All’interno dello stesso partito di maggioranza, i conservatori, c’è chi ha votato contro l’accordo perché lo ritiene eccessivo e chi, al contrario, vorrebbe una rottura più netta. Theresa May ha dichiarato più volte che questo è "l’unico accordo possibile" e anche i rappresentanti delle istituzioni europee sembrano fermamente decisi a non sedersi nuovamente al tavolo delle trattative.
Secondo referendum La fermezza delle due posizioni potrebbe mutare in caso di nuovo – e opposto – mandato popolare. Per questo motivo, da settimane ventila l’idea di far tornare i britannici alle urne, proponendo loro un secondo referendum dopo quello del giugno 2016. May è contraria a questa ipotesi perché, dice, sarebbe un tradimento della volontà dei cittadini, che si sono già espressi a favore della Brexit. Inoltre, bisognerebbe chiarire se l’eventuale consultazione riguarderà l’accordo attuale o se sarà una semplice riproposizione del Leave-Remain del 2016.
Di nuovo in Parlamento La terza ipotesi è temporeggiare e poi riproporre lo stesso testo al Parlamento britannico. Era l’idea principale di alcuni membri del governo: parlare con i singoli parlamentari contrari e convincerli a cambiare opinione. Tuttavia, vista l’entità della sconfitta, proporre nuovamente lo stesso accordo potrebbe risultare inutile.
Rinviare l'uscita In ognuno di questi casi, è probabile che ci sia bisogno di più tempo. In base agli accordi con l’Ue, infatti, il 29 marzo 2019 è la data in cui l’articolo 50 del Trattato entrerà in vigore e la Brexit sarà effettiva. La richiesta di rinviare questa scadenza deve essere ratificata dagli altri 27 Stati dell’Unione. In caso di proroga si porrà, poi, il problema di come organizzare le elezioni europee del 26 maggio 2019 in modo regolare: con il rinvio, il Regno Unito sarebbe ancora formalmente all’interno dell’Ue e, dunque, legittimato a eleggere i propri rappresentanti al Parlamento Europeo.
No-deal Senza nuovi negoziati, senza un nuovo referendum, senza un nuovo voto in Parlamento e senza una proroga temporale, lo scenario a cui Regno Unito e Unione Europea andranno in contro è quello di un divorzio senza accordo. In caso di “no-deal”, le loro relazioni economiche sarebbero regolamentate dalle norme dell’Organizzazione mondiale del commercio, con tutta una serie di controlli doganali che, secondo molti, intaserebbero l’economia. In ambienti economici si parla di un possibile crollo della sterlina e di un aumento della disoccupazione. Al contrario, per i “Brexiteers” più convinti una politica commerciale del tutto indipendente sarebbe uno scenario desiderabile, secondo il motto del “meglio nessun accordo che un cattivo accordo”.
Niente Brexit Infine, una soluzione al momento decisamente improbabile, ma comunque possibile, è il ritiro della Brexit. L'articolo 50 del Trattato dell'Unione europea, quello che regola la separazione di un paese dalla Ue, prevede che il Regno Unito possa interrompere unilaterlamente il processo di uscita.