L'azienda per il quale lavorava a chiamata lo licenziò al compimento dei 25 anni ma secondo i giudici di Milano non si trattò di un caso di discriminazione. La Corte di Appello del capoluogo lombardo ha rigettato tutte le domande presentate da un dipendente che era ricorso in giudizio per essere stato lasciato a casa dal colosso dell'abbigliamento casual Abercrombie&Fitch al compimento dell'età massima prevista dal contratto a chiamata.
Il giovane venne assunto nel 2010 con contratto di lavoro intermittente a tempo determinato che poi convertito a tempo indeterminato nel gennaio 2012. Il 26 luglio di quell’anno, però, era stato licenziato perché compiva 25 anni, come consentito dalla normativa italiana per tale tipologia contrattuale.
In primo grado di giudizio, nel 2013, il Tribunale di Milano respinge la richiesta del giovane. Un anno dopo la Corte d’Appello, dà ragione al giovane lavoratore che può così tornare a lavorare in azienda.
A quel punto interviene la Cassazione che gira la palla alla Corte Ue, chiedendone un parere sulla compatibilità della normativa italiana del contratto a chiamata con il divieto di discriminazione in base all'età sancito dalla normativa europea: secondo il Decreto legislativo 276/2003, il contratto di lavoro intermittente può essere attivato soltanto per i lavoratori di età inferiore a 25 anni o superiore ai 55. Il 19 luglio 2017 i magistrati europei dicono che la legge italiana non contrasta con il diritto dell’Unione.
A febbraio 2018 il procedimento torna in Cassazione la quale lo rimanda alla Corte di Appello di Milano che - con una formazione diversa - scrive la sentenza (forse) finale alla querelle, se non ci sarà un nuovo e paradossale ricorso del lavoratore in Cassazione.