Un viaggio interiore tra le mille sfaccettature di un'anima fatta di contrasti. E' "Psychodonna", l'album che segna il debutto solista di Rachele Bastreghi, cantante, compositrice, musicista ed anima femminile dei Baustelle. Un lavoro molto personale e di personalità, che lei presenta invitando le colleghe a un "risveglio" di fronte a un impigrimento generale. "E' ora che le cantanti ritrovino la propria identità" dice a Tgcom24.
Per la Bastreghi questo è il primo vero passo da solista anche se in precedenza aveva pubblicato un Ep, "Marie", che le aveva permesso di provare "l'effetto che fa". Adesso, con i Baustelle in pausa dopo un intenso periodo di lavoro, ha potuto buttarsi anima e corpo in una serie di canzoni in cui si è spinta oltre i consueti confini della scrittura. "Psychodonna" è un album intenso, a suo modo complesso perché ricco di sfaccettature, che sicuramente si distingue dalla gran parte delle sonorità che si ascoltano oggi. Non è solo il frutto di due anni e mezzo di lavoro ma il precipitato di un'esperienza molto più lunga... "Per fare questo album mi ci è voluta una vita - ammette Rachele -. E' una battuta ma non troppo. Il lavoro mi ha portato via quasi due anni e mezzo ma ci è voluta un’esperienza vitale per arrivare sul punto di volerlo fare, di farlo in modo consapevole e cosciente, di avere una visione del suono. Di avere una coscienza di quale doveva essere la direzione e cosa volevo esprimere. E anche cosa volevo dire a me stessa".
Questo lavoro arriva sei anni dopo "Marie", un Ep che aveva rappresentato il tuo primo contatto con l’ambito solista. Cosa lega i due lavori?
E' cambiata la prospettiva. Quello era il mio primo passo da solista ma era nato un po' da una chiamata esterna di un regista che mi aveva chiesto un pezzo sul personaggio di Marie. Ho usato lei per dire delle cose ma comunque era una cosa a tema, con dei paletti, delle atmosfere. Aveva dei riferimenti precisi anche come anni a cui riferire le sonorità. E' stato importante ma sapevo che non era un mio lavoro personale.
E questa volta?
Quando ho iniziato a scrivere delle cose ho subito capito che c’era un bisogno che andava capito e ascoltato. I Baustelle erano in pausa da poco dopo due anni di concerti e di dischi. Ho capito subito che la cosa era importante e utile per me. Mi sono buttata anche musicista, come compositrice. Ho sfiorato un nuovo mondo con i testi, io che ho sempre parlato attraverso la musica strumentale. Mi è piaciuto giocare con i contrasti, che in questo disco ci sono.
Di quali contrasti parli?
Quelli di una psychodonna che tira fuori e non teme di mostrare tante sue sfumature. I suoi bianchi e neri, i pregi e i difetti, le salite e le discese. Un'anima che si mette a nudo, che cerca un equilibrio, ma si vuole accettare e trovare un po' pace.
Possiamo dire che l'equilibrio sta proprio nell’accettazione dello squilibrio?
Certo. C’è una fragilità ma anche una forza, una resistenza, una combattività. Sono le donne che ho cercato per farmi dare un po’ di coraggio. Ho cercato di seguire la scia. Ognuno cerca il suo modo personale di fare la propria guerra e lasciare la sua testimonianza. Io non posso fare altro che dire quello che penso io.
Tra i vari brani ce n'è uno che è stato la chiave di volta per dare corpo al progetto?
Il primo pezzo che avevo scritto è "Poi mi tiro su", quello che apro il disco. Lo avevo scritto subito dopo "Marie", anche se poi è stato riarrangiato spingendolo un po' verso la psychodonna. Però già testualmente mi ero già aperta e quella cosa mi ha spronato a continuare, come fosse una terapia. Poi io sono così: sono estrema. Si può dire che il disco rappresenti una sincerità molto curata. C'è un contrasto tra la pancia, che si esprime nei testi, e il lavoro di ricerca nella musica. Avevo un'idea precisa di dove andare e non ho avuto paura di mischiare a volte il sacro e il profano.
Come hai vissuto questo anno di sospensione in cui ci siamo trovati?
In realtà il lockdown e tutto il resto non sono entrati nella fase creativa. Il disco di fatto era già pronto anche se c'erano ancora delle cose da fare in studio. Quindi io mi ero già fatta i miei due anni di lockdown volontario, nei quali mi ero isolata completamente. Quello che mi è spiaciuto è che tanti colleghi avevano il disco pronto prima della pandemia ed è terribile. Magari hai lavorato un anno o due anima e corpo su un lavoro e poi quando esce è come se te lo rubassero e tu in qualche modo te lo dimentichi. Tanti infatti hanno fatto altri dischi perché mancando la dimensione del live quello precedente non ha avuto la possibilità di avere una sua vita, di fiorire.
Nell'album ci sono alcuni interventi di altre donne, come Meg, Chiara Mastroianni e Silvia Calderoni. Come le hai scelte?
Sono incontri nati da rapporti consolidati, stima, e che si sono materializzati al momento della scrittura delle canzoni. Ogni parte mi ha ispirato una voce che conoscevo. Sono tutti apporti che danno colori in più alla tela. Chiara Mastroianni porta la Francia, Meg ha in comune con me il venire da un gruppo di uomini ed è la parte più scugnizza. E poi c'è la Calderoni che comunque condivide con me un po' l’uso del corpo nelle performance. Lei è molto fisica e lo sono anche io sul palco. Quando scrivo viene fuori la mia vena contemplativa ma quando sono sul palco mi piace seguire il ritmo con tutta me stessa.
Nell'album c'è anche la cover di "Fatelo con me", un brano della primissima Anna Oxa. Cosa ti ha affascinato di quella canzone?
L'idea di riprenderlo è nata per caso. Ho sentito il pezzo in una trasmissione televisiva e ho avuto un’illuminazione. E' davvero psychodonna. La Oxa all'epoca aveva un'attitudine punk, era una ragazzina come Madame oggi. Ecco Madame è una speranza che le donne possano trovare una loro identità, tornare a quegli anni in cui le donne avevano ognuna la propria identità.
Trovi che oggi sia un po' tutto massificato?
C'è un po' di imprigrimento nella scrittura. Non so se è dovuto alla richiesta, spesso è un cane che si morde la cosa. Io inviterei a cercarsi un po’ di più. Tutte abbiamo un passato a cui attingiamo ma c’è un modo di prendere che è distruggere e ricostruire per farlo proprio. Io ormai la radio l'ascolto poco ma oggi a volte faccio fatica a riconoscere l'una dall’altra mentre una volta Patty Pravo, Loredana Bertè, Anna Oxa, le riconoscevi al volo. Non erano solo cantanti, portavano una visione a 360 gradi".
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