“Non so chi abbia inventato i tacchi alti ma tutte le donne gli devono molto”, pare abbia detto Marilyn Monroe. Le scarpe con il tacco sono da sempre, infatti, uno dei simboli della femminilità e del piacere di piacere, a se stesse e agli altri. Non semplici accessori ma veri e propri oggetti del desiderio, da ammirare, indossare, possedere e custodire. Un racconto di questo spaccato di universo femminile lo offre la mostra ‘I’m not Cinderella. I just love shoes’, ospitata da Venezia da T Fondaco dei Tedeschi by DFS, fino al 13 marzo prossimo.
Credits ©Museo della Calzatura di Villa Foscarini Rossi per T Fondaco di Tedeschi by DFS
UN ‘PARADISO’ PER LE APPASSIONATE – Il titolo dell’esposizione, a entrata gratuita, lascia intuire una dichiarazione di intenti: le quaranta scarpe esposte, infatti, non sono inserite in teche bensì posate a terra o su scatole, come fossero pronte per essere indossate. Si tratta di una selezione dei modelli più iconici, che fanno parte della storia del design, tutti provenienti dal Museo della Calzatura di Villa Foscarini Rossi, che raccoglie a sua volta una collezione di oltre 1500 calzature femminili di lusso. Si va dai preziosi esemplari antichi come il patito, lo zoccolo veneziano in legno del XVI secolo, a quelli con il pattino, la soprascarpa. Dagli stivaletti e dai primi tronchetti, si arriva alle creazioni dei designer più famosi, come il mitico tacco ‘virgule’ disegnato da Roger Vivier.
COME UN LINGUAGGIO – L’iniziativa vuole essere una sorta di viaggio nel mondo dei tacchi, frutto della collaborazione con prestigiosi brand, e si snoda attraverso la rappresentazione di quattro possibili profili psicologici di donna: eleganza equilibrata, ambizione grintosa, successo estetico e creatività audace. “Ci si può rispecchiare in una di queste quattro rappresentazioni del sé – spiega Paola Pizza, psicologa della moda – oppure immaginare il proprio diverso e originale modo di esprimere l’identità, utilizzando le scarpe come un linguaggio che collega corpo e psiche. Permettono, inoltre, di giocare con la molteplicità dei nostri sé, semplicemente sfilando una scarpa e indossandone un’altra”.