Avevano ridotto in schiavitù e costretto a prostituirsi tre ragazze minorenni, che vivevano in un campo nomadi alla periferia di Foggia, e volevano vendere per 28mila euro il bambino di una di loro, rimasta incinta. Per questo sono finiti in carcere sei rom, smascherati da un'indagine della magistratura di Bari. Le ragazze, prive di documenti, vivevano segregate nelle baracche del campo, dove erano controllate 24 ore al giorno dai carcerieri.
I fermati sono una coppia, i loro tre figli (due dei quali minorenni) e una 26enne compagna di uno dei ragazzi. Tre sarebbero le vittime accertate dagli inquirenti, tutte minorenni, due delle quali risulterebbero ancora irreperibili. Come hanno spiegato gli investigatori, le indagini hanno consentito di accertare "come fosse prassi consolidata quella di costringere le minori a prostituirsi anche durante la gravidanza e, davanti al rifiuto delle vittime, le stesse venivano percosse senza pietà dai rispettivi fermati preposti al loro controllo". Il bambino che doveva essere venduto è stato però partorito senza vita al settimo mese di gravidanza e le cause della morte potrebbero essere proprio le botte subite dalla madre, una 17enne.
Ora però il bambino che doveva essere venduto potrebbe essere morto a seguito delle percosse subite dalla madre, una 17enne. La Procura di Bari ha infatti parlato di "una delle nuove forme di 'schiavitù moderna', costituita dalla riduzione e dal mantenimento in stato di schiavitù di giovani straniere, per lo più sole e non in contatto con la famiglia, tutte minorenni da adibire al mercato della prostituzione, direttamente controllato dagli stessi fermati". In due mesi di indagini sono state raccolti i racconti delle vittime, fatti riconoscimenti fotografici, sopralluoghi, accertamenti tecnici su telefoni e social network, scoprendo "uno spaccato di cui si ignorava l'esistenza nel nostro territorio".
"Le condotte dei fermati - hanno aggiunto gli inquirenti - sono connotate da allarmante gravità, attesa la loro efferatezza e il disprezzo per la vita umana dimostrati dagli indagati, soprattutto in danno di giovani vittime minorenni e dei nascituri che portavano in grembo; gli stessi hanno, pertanto, dimostrato una totale indifferenza per le condizioni di particolare fragilità delle vittime e di non possedere il minimo sentimento di pietà verso le stesse".
Nessuna delle minorenni poteva scappare dal campo rom, essendo controllate 24 ore al giorno, private dei cellulari e dei documenti. Le ragazze, al momento tre ma portebbero essere di più, venivano segregate nelle baracche, continuamente picchiate perché non tentassero di fuggire e non parlassero con qualcuno. Quando si spostavano per raggiungere le strade dove venivano accompagnate in auto, fornite di preservativi e costrette a prostituirsi, erano controllate costantemente con alcuni degli aguzzini nascosti tra i cespugli.
Dal campo nomadi: "Sono tutte bugie" - "Non è vero che tenevano segregate in casa le ragazze. Sono tutte bugie", ha però dichiarato un cittadino di nazionalità romena che risiede da anni nel campo nomadi di via San Severo. "La polizia è venuta ad arrestare i nostri vicini di casa, ma loro sono tutte brave persone. Non è vero nulla. Non abbiamo mai visto niente". Dello stesso avviso una donna romena che vive nella baracca accanto a quella degli indagati: "Sono bravi, li conoscevo bene. Lavorano nei campi nella raccolta di asparagi, pomodori e olive. Noi lavoriamo tutto il giorno per guadagnare soldi per il cibo".