Uno dei più grandi successi di Sega in sala giochi, Golden Axe è tuttora un punto fermo nell’immaginario dei giocatori cresciuti tra gli anni ’80 e ’90. Il suo debutto nel 1989 lo mette direttamente in concorrenza con un altro peso massimo del genere, i picchiaduro a scorrimento, quel Final Fight che avrebbe spinto un po’ più in su l’asticella e rinsaldato la posizione di Capcom nel mondo del divertimento elettronico.
Due grandi esperienze nate negli stessi mesi, ma capaci di seguire percorsi piuttosto distanti tra di loro. Se Cody, Guy e Haggar, protagonisti di Final Fight, pattugliavano le strade della contemporanea Metro City, tra parchi cittadini, periferie malmesse e fermate del treno, il trio di eroi di Sega era impegnato in altri mondi. Quelli fantasy medievaleggianti tutti draghi, spadoni ed elfi. L’ispirazione, secondo il responsabile dello sviluppo Makoto Uchida, venne dal successo della serie Dragon Quest in Giappone. Ma se quella sfruttava tempi e modi dei giochi di ruolo, Golden Axe si concentrava sull’azione più essenziale e brutale.
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Esteticamente Golden Axe cercava soluzioni più crude eppure comunque spettacolari, rispetto ad altri concorrenti dell'epoca.
Ai giocatori la possibilità di scegliere tra i muscoli ben oliati di Ax Battler e la sua spada a due mani, la barba incolta e minacciosa del nano Gilius Thunderhead accompagnato da un’ascia e il due-pezzi rosso che “incorniciava” la bella ma letale Tyris Flare, dotata di una spada lunga. Tutto il resto era distruzione e dolore virtuale. Golden Axe puntava in effetti su di uno stile di gioco capace di esaltare l’atmosfera e l’ambientazione scelta: veniva messa da parte la velocità di altri picchiaduro a scorrimento, per valorizzare la sensazione di potenza e pesantezza propria delle armi a disposizione. E delle armature dei nemici che brandivano mazze chiodate o arrivavano cavalcando strane creature mitologiche.
Forse per questo, ad anni di distanza, Golden Axe ha perso un po’ del suo smalto e del suo fascino. Oggi il classico di Sega appare fin troppo macchinoso e ruvido nei movimenti, a meno che non si cerchi esattamente quel tipo di approccio. E tra livelli ambientati sul dorso di un’immensa tartaruga volante, i martelloni apocalittici di certi “boss” e le magie da scatenare una volta raccolte delle ampolle, ce n’era a sufficienza per far innamorare chiunque passasse di fronte al cabinato. La strabordante realizzazione tecnica e una cupa e opprimente colonna sonora facevano, come sempre, il resto.
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Gilius Thunderhead è uno dei tre protagonisti di Golden Axe. E non ha paura di usare un'ascia più grande di lui.
Il successo non tardò ad arrivare, tanto che Golden Axe venne convertito praticamente per qualsiasi formato esistente. Su tutte svettava prevedibilmente l’edizione per Mega Drive, l’allora console di punta di Sega, che riuscì a presentare fin dai suoi primi mesi di vita una “riduzione” particolarmente fedele all’originale. Ma la voglia di affettare mostri era tale che Golden Axe non si fece attendere troppo anche su Master System, Amiga, Atari ST, ZX Spectrum o Commodore 64 pur con qualche prevedibile delusione per quanto riguarda queste ultime due uscite.
La serie proseguì senza raggiungere mai più lo stesso livello di notorietà e scatenando una febbre simile. Per Mega Drive vennero realizzati due seguiti ad hoc godibili, ma ben lontani dal replicare gli effetti del genitore. In sala giochi toccò invece allo splendido Golden Axe: The Revenge of Death Adder provare a rinverdirne i fasti, riuscendoci sotto ogni profilo, ma non godendo mai di una conversione casalinga o di una distribuzione particolarmente convincente. Purtroppo.