Desirée Mariottini poteva essere salvata. Tre giorni prima della sua orribile morte un giudice del tribunale dei minori di Roma si oppose al suo collocamento in una comunità di recupero per tossicodipendenti. La misura era stata chiesta dalla procura minorile su sollecitazione dei servizi sociali di Cisterna di Latina e della famiglia della 16enne, che era stata fermata a inizio ottobre per un presunto episodio di spaccio.
Fu allora che i genitori decisero di mandarla in comunità. Una scelta che però, a norma di legge, può essere solo volontaria, con l'unica eccezione dell'intervento di un giudice che, in quel caso - di fronte alla mancanza di posti disponibili -, stabilì che non c'era urgenza di ricovero.
Tre giorni dopo, Desirée entrò nel palazzo occupato di via Lucania a Roma, dove venne drogata, violentata e lasciata morire. Quattro finora le persone indagate, tutti stranieri con il permesso di soggiorno scaduto. Il lavoro degli investigatori continua per accertare quante e chi siano le persone coinvolte nella vicenda. Intercettati, alcuni testimoni fanno altri nomi, oltre a quelli già noti.
E ci sarebbe una quinta persona che avrebbe violentato la 16enne quando non era più cosciente. Nelle loro dichiarazioni, i presenti nel palazzo al momento delle violenze, si sono tutte attribuite il tentativo di portare in salvo la ragazza, a tratti anche accusandosi a vicenda. Testimonianze non sempre sono risultate credibili, sta di fatto che quel giorno nessuno ha chiamato i soccorsi per tentare di strapparla alla morte.