Non solo morti e feriti e non solo sfollati. Adesso, per colpa del ponte Morandi, ci sono anche quelli che hanno perso il lavoro. I primi sono sei dipendenti delle Autodemolizioni Lamparelli di via Lorenzi, che si trova proprio sotto il moncone ovest del viadotto, hanno ricevuto le lettere di licenziamento per "giustificato motivo oggettivo".
Lo stabilimento della ditta è inagibile dal 14 agosto, da quando alla zona rossa sotto il ponte è stato bloccato ogni accesso. Fino a metà ottobre sono state smaltite ferie e permessi. Ma nessuno spiraglio si è aperto che consentisse il ripristino delle attività. E così, scrive "Avvenire", l'azienda ha dovuto far ricorso ai licenziamenti, motivati con la "cessazione attività a causa di inaccessibilità ai locali lavorativi a seguito del crollo del ponte Morandi".
Dopo la lettera scatterà il periodo di preavviso, dopo di che i sei dipendenti rimarranno a casa senza prospettive. "Anche noi siamo sfollati, ci hanno rubato il lavoro", dice ad "Avvenire" Willy Ballacchino, 42anni, moglie in cassa integrazione, figlia di cinque anni e un mutuo. "Anche noi siamo sfollati - protesta -, siamo sfollati del lavoro e chiediamo di avere una nuova ricollocazione. Non vogliamo assistenzialismo. Finora non abbiamo avuto nulla, nemmeno un indennizzo, niente. Non sappiamo neanche se potremo usufruire della cassa integrazione in deroga. La nostra azienda chiuderà la vigilia di Natale e noi saremo in mezzo alla strada".
Ballacchino si è fatto sentire anche al coordinamento "Oltre il ponte c' è...", a cui aderiscono i 70mila residenti in Valpolcevera, isolati dal resto dalla città da quel maledetto 14 agosto. Sono andati a manifestare sotto le finestre della Regione e davanti alla Prefettura e chiedono, oltre al ripristino dei collegamenti, anche "la tutela del lavoro, della salute e della sanità", come dice Giulio Masi, uno dei portavoce. Sotto i riflettori c'è il decreto Genova, che sarà votato la prossima settimana e che, avvertono al coordinamento, "ha ancora troppe lacune". I trenta milioni per la cassa integrazione in deroga non bastano per i 3mila lavoratori a rischio. E non si prevede nulla pe la zona arancione. Ma non vengono considerate neanche la zona economica speciale e la zona franca. Senza contare, dice ancora Masi, che "l'ospedale più vicino è Villa Scassi. Prima bastavano 7 minuti, adesso se va bene ci vuole mezz'ora".