Matteo Garrone compie 50 anni, la maggior parte dei quali vissuti dietro una macchina da presa. Una vita da regista che può vantare importanti riconoscimenti e certificazioni: Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes, cinque European Film Awards, sette David di Donatello e nominato ai Golden Globe per il miglior film straniero. Le sue opere spesso prendono spunto da fatti di cronaca per poi svilupparsi in una direzione diversa. “Prendo spunto dalla realtà e cerco di trasfigurala ed elevarla a qualcosa di più alto, all’arte”, così Garrone ha definito il suo modo di lavorare.
Gli esempi sono molteplici. Nel 2002 con “L’imbalsamatore” aveva raccontato una storia di cronaca davvero macabra. Il film riprende infatti la vicenda del "nano di Termini" Domenico Semeraro, un tassidermista perverso, omosessuale e vicino alla camorra, ucciso nel 1990 dal suo protegé Armando Lovaglio, stanco di dover dividere la fidanzata, nel frattempo diventata mamma, con il nano.
Stesso procedimento anche in “Primo Amore” del 2004. Il film parte dalla vicenda del “cacciatore di anoressiche”, Marco Mariolini, un esperto di antiquariato ossessionato dalle donne scheletriche che il 14 luglio 1998 uccise la sua fidanzata Monica Calò con 22 coltellate. Il dramma di cronaca viene trasformato in pellicola e assume un carattere ancora più macabro e oscuro.
Altro esempio, di sicuro più recente, è quello legato a “Dogman”, lungometraggio con cui Garrone rappresenterà l’Italia ai prossimi Oscar. Uscito nel 2018, il film si ispira al “delitto del Canaro” compiuto a Roma nel 1988 da Pietro De Negri, detto appunto “Er Canaro”, ai danni del pugile dilettante Giancarlo Ricci. Un rapporto costante con il male, dal quale Garrone è impaurito e allo stesso tempo attratto, come se andando a scavare negli angoli più scuri e intimi dell’uomo riuscisse a conoscere l’uomo stesso e i suoi istinti primordiali, trasformandoli poi in grande fonte d’ispirazione.
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