Campi Nomadi, gli sgomberi inutili
Quarta Repubblica ci porta a Roma, dove gli sfollati si spostano di qualche chilometro e costruiscono nuove baracche
“In cinque anni chiuderemo tutti i campi rom, è una vergogna solo italiana”. Questa la promessa di
Matteo Salvini, ma per adesso sembra essere lontana una possibile soluzione al problema dei campi nomadi. Come a
Roma, dove gli sfollati del
Camping River, primo campo sgomberato dal nuovo governo nel mese di luglio, sono stati costretti a spostarsi semplicemente di qualche chilometro e hanno così occupato la stazione di
Prima Porta, periferia nord di
Roma. Un semplice trasloco quindi, senza un’effettiva risoluzione della questione.
“Ora vivo per terra” dice una signora intervistata e un ragazzo, che non vuole farsi riprendere in viso, spiega: “Finché ci sgomberano, noi costruiamo nuove baracche, non possiamo fare altro”. Qualcuno ha anche approfittato del rimpatrio volontario, quello cioè a spese delle istituzioni, ma dopo poco tempo è tornato. Un signore,
in Italia da 50 anni, spiega il perché: “Qui fanno tutti così, tornano nel paese d’origine, prendono un po’ di soldi e tornano qui”. E sul motivo per cui non vengono accettati in altre zone: “Non c’è fiducia
ed è colpa dei ladri, qui nel campo più dell’80% ruba. Voi affittereste casa a un ladro?”.
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