Nathan Labolani, il 19enne di Apricale (Imperia) ucciso per errore con un colpo di fucile all'addome da un cacciatore di 29 anni, aveva un fucile da caccia calibro 12 e una cinquantina di munizioni, ma senza aver mai preso il porto d'armi. E' quanto riferito dalla Procura di Imperia. Non è escluso quindi che il ragazzo stesse a sua volta cacciando. L'uomo che ha ucciso il 19enne è indagato per omicidio colposo.
L'arma è stata ritrovata accanto al corpo del 18enne. I carabinieri hanno anche trovato delle munizioni e hanno accertato però che il giovane non aveva il porto d'armi. Sono così in corso accertamenti sulla liceità delle detenzione dell'arma e la sua provenienza. Secondo invece le ricostruzioni degli investigatori la vittima non faceva parte di nessuna delle due squadre impegnate nella battuta di caccia al cinghiale, di cui faceva parte il cacciatore 29enne che ha esploso il colpo fatale che ha colpito il 18enne, scambiato per una preda, all'addome.
L'ultima chiamata del giovane al padre - "Mio figlio mi ha gridato al telefono 'papà, papà, mi hanno sparato nella pancia; mi hanno sparato nella pancia'. Poi è caduta la comunicazione". Sono le parole di Enea Labolani, padre di Nathan. L'uomo ha raccontato che stava andando al lavoro quando ha visto pompieri e carabinieri a bordo strada. Ha chiesto informazioni e ha scoperto che era stato ferito un ragazzo in un incidente di caccia così ha chiamato il figlio scoprendo la verità.
"Non meritava la morte, voglio giustizia" - "Anche se mio figlio avesse avuto un fucile, non è stato lui a sparare. Nulla giustifica la sua morte. Avrebbe potuto avere un bazooka o una canna da pesca, ma nulla cambierà quello che è successo. Ora, voglio soltanto giustizia". Questo il commento di Enea Labolani. "Da quando ha compiuto diciotto anni, gli ho sempre detto 'devi essere responsabile delle tue azioni'. Non so se quell'arma che hanno trovato fosse davvero la sua, io certamente non sapevo che mio figlio la detenesse, ma ciò non cambia la realtà dei fatti ovvero che è stato ucciso un ragazzo con la vita ancora tutta davanti".
Capo squadra: "Ho parlato ai carabinieri, il ragazzo non era con noi" - "Ho già detto tutto ai carabinieri, la verità è dai carabinieri. Il ragazzo non cacciava con noi". Lo Luciano Bacigaluppi, il capo squadra di cacciatori di Camporosso, che assieme a quella di Perinaldo, ha partecipato alla battuta di caccia al cinghiale nei boschi di Apricale. "Conoscevo Nathan, il papà e il nonno. E' stata una disgrazia - aggiunge Bacigaluppi -. Abbiamo cacciato a squadre congiunte con quella di Perinaldo. Saremo stati 25 o 26 persone, su un'area molto estesa con circonferenza di circa 3 km. In situazioni simili può capitare che una coppia di cacciatori si trovi anche a 300 o 400 metri di distanza da un'altra".
Nathan cacciava con qualcuno? - Il caposquadra spiega che la caccia al cinghiale avviene a coppie: un passista attende la preda, un battitore spara. "Sappiamo sempre dove siamo tutti, ci sentiamo via radio". Una delle piste seguite dagli inquirenti è che Nathan stesse cacciando con un'altra persona.