"Migliaia di lavoratrici sottopagate creano indumenti di lusso senza contratto o assicurazione". In un articolo dal titolo "Inside Italy's Shadow Economy", il New York Times attacca duramente la moda italiana e il suo sistema produttivo. L'accusa esplicita a diverse grandi aziende è quella di sfruttare il lavoro nero, pagando le sarte un euro all'ora, in Puglia.
L'inchiesta - Nell'articolo, il New York Times paragona le condizioni di lavoro in Italia a quelle in India, Bangladesh, Vietnam e Cina. "'Made in Italy', ma a che prezzo?" si chiede il quotidiano. Con testimonianze anche anonime, viene ricostruito il contesto in cui operano migliaia di donne che ricevono dal laboratorio locale un euro per ogni metro di stoffa cucita o ricamano paillettes per 1.50-2 euro l'ora. Di questa manodopera si servirebbero grandi marchi. Non è la prima volta che il prstigioso quotidiano statunitense attacca la moda italiana. Lo scorso settembre il quotidiano americano definiva Milano periferica nel mondo della moda internazionale, nel 2007 bollava la sua moda come volgare, nel 2009 la definiva roba da veline.
La posizione della categoria - A rispondere a nome del comparto fashion è il presidente di Camera Moda Carlo Capasa, che giudica l'inchiesta di Elizabeth Paton "un attacco vergognoso e strumentale". "Hanno attaccato questi marchi in maniera indegna - dice Capasa - per questo prepareremo una nota congiunta insieme agli avvocati". "Se hanno trovato un reato c'è obbligo di denuncia, perché non l'hanno fatto?" si chiede Capasa, per il quale "i nostri contratti sono tutti a tutela dei lavoratori".
"Quello del New York Times è un attacco strumentale che nasce - dice il presidente di Camera Moda - senza aver fatto una vera indagine. Io sono pugliese e la Puglia non è il Bangladesh. Citano fonti sconosciute e dicono anche che in Italia non abbiamo una legge sul salario minimo e questo è grave". "Le nostre - sottolinea - sono aziende serie, se i subcontratti hanno fatto delle stupidaggini questo va perseguito, ma condividiamo tutti lo stesso contratto per la tutela dei lavoratori. Se poi volevano demonizzare il lavoro domestico trovo che sia sbagliato, ha un senso purche' sia ben pagato". "Replicheremo al New York Times in modo pesante" annuncia Capasa. E il motivo è che "siamo il Paese che ha fatto di più per questi diritti, il primo a perseguire gli abusi, non c'è nessuna connivenza delle aziende italiane perché non ne hanno bisogno, non abbiamo bisogno di sfruttare nessuno". Secondo Capasa, c'è un motivo per cui questo articolo e' uscito oggi: "A Milano inizia la fashion Week con il green carpet, siamo bravi e questo dà fastidio".
Le reazioni degli stilisti - "Nessuno è sano ma ognuno fa del suo meglio, accanirsi solo con la moda è sbagliato": questo il commento della stilista Miuccia Prada. "Tutte le aziende hanno codici e ispettori ma il mondo reale - sottolinea - è più complicato, c'è sempre qualcuno che si fa corrompere". Certo, anche "la moda ha le sue colpe, ma sono sicura che aziende di altri settori faranno anche peggio. Questo non è un mondo perfetto e siamo tutti colpevoli, i problemi sono ovunque".
La moda è comunque impegnata in "un processo graduale di cambiamento": a Prada in particolare la Lav ha chiesto di non produrre più pellicce: "Io le pellicce non voglio più farle - dice Miuccia - già oggi rappresentano solo lo 0,1% del prodotto, ma non amo gli annunci, dirò che non le faccio più quando sarà cosa fatta e finita".