Nessuno può essere licenziato solo perché su una chat o su una mailing list insulta l'amministratore delegato dell'azienda per cui lavora. Lo ha stabilito la Cassazione. Nel caso in cui in qualche modo pervenga al datore di lavoro copia di una schermata di insulti a lui diretti, insomma, è da "escludere" ogni forma di "utilizzabilità" del contenuto di tale conversazione, che va intesa come privata e inviolabile.
Il motivo, spiega la Suprema corte, è che "i messaggi che circolano attraverso le nuove 'forme di comunicazione', ove inoltrati non ad una moltitudine indistinta di persone ma unicamente agli iscritti ad un determinato gruppo, come appunto le chat private o chiuse, devono essere considerati alla stregua della corrispondenza privata, chiusa ed inviolabile".
La sentenza ha quindi dato ragione a una guardia giurata di Taranto dipendente della "Cosmopol", licenziata dopo che nella chat del sindacato aveva definito "faccia di m..." e "co..." l'amministratore delegato dell'azienda.