Influenzano le abitudini, i costumi, le mode, gli acquisti, ma non si sentono tutelati. Per questo Mafalda De Simone chiede un “sindacato degli influencer italiani” per colmare il vuoto di regolamentazione. “È un errore pensare di far tutto da soli - racconta al quotidiano “Il Messaggero” Paola Di Benedetto, fidanzata di Federico Rossi del duo Benji e Fede - bisogna proteggersi… Dai 50mila follower in poi, trattare da soli non conviene, meglio rivolgersi a un'agenzia”.
La rete è pericolosa: non basta avere il consenso, altrettanto facilmente lo si può perdere e quando arriva il successo, compaiono anche gli squali. “E’ molto rischioso – ha raccontato al quotidiano Yuri Gordon Sterrore - Senza la persona giusta accanto non solo si rischia di non saper chiudere i contratti, ma anche di veicolare, senza volerlo, contenuti non appropriati o offensivi. E dalla shitstorm alla denuncia è un attimo”.
La beauty influencer Martina Chiella spiega: “Spesso il nostro lavoro è visto come un hobby. Le stesse aziende non hanno capito che con le cose che ci regalano non ci paghiamo il mutuo di casa. Il regalo non è un pagamento: la tavola non la apparecchio con le borse e con le creme”.
Camilla Sentuti, beauty influencer e travel blogger spiega la sua esperienza americana: “Io ho vissuto 8 anni a New York e ho iniziato a fare questo lavoro negli Stati Uniti. Là i budget per le collaborazioni sono più alti e le aziende sanno che dietro a una foto ben riuscita spesso non c' è il cellulare di un'amica o di un fidanzato, ma un fotografo professionista, delle luci e una location”.
Perché allora non fare un sindacato vero e proprio? Secondo l'influencer milanese Paolo Stella: “Il problema italiano del fare gruppo. Dare delle regole comuni servirebbe a distinguere tra chi si comporta in maniera professionale e chi, pur avendo i numeri, non lo fa. L' idea è che chiunque oggi possa svegliarsi e diventare influencer, ma non è così: non basta una buona esposizione, serve anche una buona storia da raccontare”.
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