Compie 60 anni Kate Bush. Straordinaria artista dalla voce unica, è diventata celebre tra gli anni 70 e 80 con successi come "Wuthering Heights", "Babooshka", "Running Up The Hill" e "Cloudbusting". Dal 1993 si è quasi ritirata a vita privata: in 25 anni ha infatti pubblicato due soli album e ha proposto un solo spettacolo dal vivo, nel 2014, il primo realizzato dopo 35 anni.
Se la sua vita potesse essere riassunta nel titolo di una delle sue canzoni, sarebbe certamente "How To Be Invisible", contenuta nel doppio album "Aerial", pubblicato nel 2005. Kate Bush ha fatto dell'invisibilità e della religiosa custodia della propria vita privata un culto. Un'invisibilità dalla quale emerge saltuariamente quando pensa sia il momento di dire qualcosa che abbia una rilevanza artistica. Perché in un'epoca musicale in cui tutto viene divorato alla velocità della luce e la cosa più importante sembra l'esserci e l'apparire, presidiare posizioni che, se lasciate anche solo per pochi mesi, sarebbero occupate da altri, lei ha trovato il modo di rallentare il tempo o ignorarlo del tutto.
Forse perché per lei il tempo è stata una variabile impazzita sin dall'inizio. Da quando, non ancora ventenne, a fine anni 70, ha trovato la celebrità con l'imprimatur dal chitarrista dei Pink Floyd David Gilmour, mostrando una maturità da veterana in pezzi come "Moving" o "Wuthering Heigths", e nelle coreografie assimilate alla corte di Lindsay Kemp. O nei 15 anni successivi, quando ha corso alla velocità della luce attraversando generi e stili, per rendere la sua musica sempre più stratificata e complessa e guardare il pop dall'alto. Ha lasciato dietro di sé successi radiofonici come "Babooshka" per buttarsi in sperimentazioni elettroniche a base di Fairlight (un campionatore rivoluzionario dei primi anni 80) in "The Dreaming" (1982). E così arrivare al suo lavoro più compiuto, "Hounds Of Love" (1985), dove l'intellettualismo artistico e la melodia pop andavano a braccetto, con canzoni diventate hit come "Running Up The Hill" e la sognante "Cloudbusting", inserite in un quadro dalla struttura tutt'altro che semplice, in cui trovavano cittadinanza il progressive quanto il folk. Concedendosi anche a progetti di amici, come nel suggestivo duetto con Peter Gabriel in "Don't Give Up".
Dopo una corsa a perdifiato, culminata con "The Sensual World" (1989), il lavoro forse più maturo, dal 1993, il controverso "The Red Shoes" (massacrato dalla critica, apprezzato comunque dai fan) è stato il traguardo oltre il quale ha deciso di staccare la spina. Una decisione figlia dei cambiamenti nella vita privata e di un certo appagamento dal punto di vista artistico e professionale. Da quel momento le sue apparizioni sono stati sprazzi, tanto più accecanti quanto inaspettati. "Aerial", dopo più di un decennio di silenzio, l'inatteso e sorprendente "50 Words For Snow" (2011), con le sue atmosfere intime, e soprattutto il ritorno live. Con uno spettacolo dalla costruzione drammaturgica perfetta, in bilico tra rock e teatro, in cui ha dimostrato di essere tutt'altro che arrugginita, pur non avendo più l'estensione vocale dei 20 anni. Ma anche in questo caso Kate ha deluso le speranze di chi vedeva in questa scelta il segnale di un ritorno a tempo pieno. Dal 2014 l'unica uscita è stata "Before The Dawn", album dal vivo, testimonianza di quelle strepitose 22 date messe in scena all'Apollo di Londra nell'arco di due mesi.
Perché di fondo Kate Bush è così: non ha regole. Se non quella di restare accuratamente invisibile. Lasciando spazio alle innumerevoli cantanti che da lei hanno preso ispirazione, da Tori Amos a Bjork. Fino al prossimo, abbagliante, ritorno.