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Figlio morì in disastro Jolly Nero, nuovo processo grazie a indagini mamma

Sotto inchiesta costruttori, progettisti, collaudatori della torre di controllo della Guardia costiera. Nel primo processo la loro posizione era stata archiviata

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Nel processo di primo grado sul disatro della Jolly Nero - la nave che il 7 maggio 2013 sbattendo contro la torre di controllo del porto di Genova causò il crollo dell'edificio e la morte di nove persone - sono state condannate 4 persone e in via amministrativa la società di armatori dell'imbarcazione. Ma è stata archiviata la posizione di costruttori, progettisti, collaudatori della torre e quindi dei vertici della Guardia costiera. Ora, grazie al lavoro della mamma di un marinaio di origine siciliana, che morì a 30 anni nel disastro, è partito un processo bis con 12 imputati, tra cui un ammiraglio, appartenenti alla società Rimorchiatori riuniti e alla Corporazione dei piloti del porto. La prima udienza è stata fissata per il 19 settembre.

Il lavoro coraggioso della mamma - "Io ho visto le mani di mio figlio Giuseppe, signor giudice, Le sue dita erano consumate... chissà quanto tempo avrà provato ad aprire quella porta", aveva affermato la donna, Adele Chiello Tusa, durante il primo processo contro l'equipaggio e l'armatore della Jolly Nero. Le dichiarazioni erano dirette ai datori di lavoro del figlio, la Guardia costiera, che secondo la signora approvarono un progetto erroneo, e furono colpevoli del ritardo nei soccorsi. Dopo l'archiviazione, la mamma coraggio ha continuato a studiare le carte, sentire testimoni, ingaggiare consulenti che potessero accertare in toto la realtà dei fatti. Adele grazie al suo meticoloso lavoro è riuscita a far riaprire le indagini della Procura di Genova. Ogni documentazione e analisi è stata pubblicata in una pagina su Facebook da lei aperta.

"Dovevo fare qualcosa" - "Io nella vita sono stata solo moglie e mamma, nient'altro. Non sono laureata e non sono esperta di costruzioni o di sicurezza sul lavoro", ha affermato al Corriere della Sera. "Ma dopo la morte di mio figlio dovevo dare un senso al mio dolore. Così mi sono studiata tutti gli atti dell’inchiesta, migliaia di pagine. Li ho praticamene imparati a memoria", ha aggiunto. "Dovevo fare qualcosa. Non sanno di cos'è capace una mamma che vuole giustizia per suo figlio..". I legali della signora quindi portarono la documentazione contro la richiesta di archiviazione. Il giudice preliminare le ha dato ragione, chiedendo di prorogare le indagini di altri 8 mesi, finché alla fine il pm Walter Cotugno ha dovuto ammettere che la richiesta di archiviazione era sbagliata. "Non voglio colpevoli a tutti i costi", spiega Adele. "Voglio solo andare fino in fondo. Lo devo a mio figlio".

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