All’interno della duecentesca chiesa-museo di Palazzo San Francesco, all’ombra degli affreschi che raccontano storie provenienti da epoche lontane, visibili sulle volte delle campate laterali, dialogano tra loro i dipinti di Giorgio de Chirico (Volo 1888 – Roma 1978) e di Filippo De Pisis (Ferrara 1896 – Brugherio 1956), due tra i più grandi protagonisti dell’arte del Novecento. La mostra mescola i secoli, i luoghi, gli stili, per sviscerare il tema della mente altrove, ovvero il sogno, la dimensione che va oltre il reale e che trova nella Metafisica, di cui de Chirico è il padre fondatore e De Pisis un “seguace” per vocazione, una condizione ideale per interrogarsi sulla vita e sul mondo. “La metafisica (poesia in altre parole) che si sprigiona da un’opera d’arte – afferma De Pisis - non si riferisce solo alle forme più o meno astratte in cui essa è composta, ma allo spirito che la informa. […] La metafisica è fatta spesso più di semplicità, chiarezza, sonorità e palpito che di ricerca e di aridità”.
In mostra una selezione di una quarantina di opere curata dal nuovo Conservatore dei Musei Civici di Domodossola Antonio D’Amico, si possono ammirare (fino al 31 ottobre) tele con vedute cittadine, scorci di paesaggi e ritratti, opere che raffigurano i temi consueti del loro repertorio, in particolare però le nature morte di De Pisis, fatte di tocchi leggeri, sciolti dalla forma e svolazzanti come piccole farfalle, e i Dioscuri in riva al mare di de Chirico, dove Castore e Polluce stanno sulla spiaggia tra cavalli, templi e frammenti antichi. Sono composizioni enigmatiche, dove le cose e gli uomini non rappresentano tanto loro stessi, ma ricordi o la condizione di un mondo che si riallaccia al mito più che alla realtà. L’elemento unificatore è il silenzio di un tempo inteso come un eterno presente: letterario e epico in de Chirico, inafferrabile e struggente in De Pisis, magico e seducente nelle tele di derivazione caravaggesca.
De Chirico e De Pisis si astraggono dalla realtà e si lasciano trascinare dal sogno, dal ricordo di luoghi e di immagini, si lasciano contagiare dalle evocazioni della memoria o dalle pagine letterarie, ma a Domodossola le loro opere scoprono una via ulteriore: un dialogano diretto con il seicento, un’epoca molto amata dal maestro di Volos, che più volte ha indossato i panni dei cavalieri di quel secolo. È un colloquio complesso, ma stimolante, volto ad abbattere l’idea di un’arte statica e inquadrata nel proprio tempo. Così, due straordinarie nature morte di De Pisis contenenti ostriche sono affiancate a una grande natura morta con pesci, tra cui delle ostriche, eseguita negli anni Trenta del Seicento da Giovanni Battista Ruoppolo, artista napoletano e maestro nel genere della natura morta caravaggesca. Oppure, un poetico vaso con fiori di montagna, realizzato sempre da De Pisis ad acquarello su carta, è accostato a una deliziosa quanto realistica tela con un vaso di fiori dipinto da Giuseppe Recco a Napoli, qualche anno dopo la morte di Caravaggio. Così come, nelle ondulate e generose pennellate dei Dioscuri (1930) o dell’Autoritratto (1942) dechirichiani si intravedono suggestioni barocche.
A coronare questo seducente percorso (o, se si vuole, a complicarlo ulteriormente), una Natura morta del 1942, capolavoro silente di un altro grande maestro del Novecento: Giorgio Morandi. L’opera, appartenuta a Carlo Ludovico Ragghianti, è composta da sei oggetti allineati, con ordine e rigore, e incuneati tra un piano color grigio-perla e uno sfondo ombroso. Visivamente sorretti da pesanti linee di contorno, quelle piccole cose quotidiane testimoniano, nel loro austero rigore, la tragedia che sta fuori da quelle mura: un mondo sconvolto dalla guerra e nel quale la vita di tutti i giorni è solo un ricordo.
DE CHIRICO | DE PISIS LA MENTE ALTROVE
15 luglio – 31 ottobre 2018
Musei Civici di Palazzo San Francesco
Domodossola, Piazza Convenzione 11