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Trento, minacciò il dipendente islamico: "Mi pento, ma non lo riassumerei"

Parla l'imprenditore che all'operaio aveva detto "ti brucio vivo, ora c'è Salvini". L'uomo commenta la vicenda e si difende: "Lavorava male"

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"Sono pentito, ma non lo riassumerei. Ero arrabbiato perché lavorava male". Così Samuele Povinelli, l'imprenditore protagonista del caso di minacce ad un dipendente in provincia di Trento, commenta la vicenda salita alla ribalta della cronaca nazionale. L'artigiano, classe 1986, intervistato dal Corriere della Sera, racconta la sua versione dei fatti, dopo che il lavoratore, un nordafricano, si è rivolto al sindacato per segnalare le minacce ricevute.

"L'episodio è l’apice di una serie di problemi. Dopo una settimana di prova lo avevamo assunto regolarmente, ma lì sono iniziate le difficoltà. Faceva il ramadan e non beveva, noi gli dicevamo che non poteva lavorare tante ore senza bere, che una persona disidratata non può dare sicurezza al compagno con il rischio di far cadere entrambi", spiega il titolare della lattoneria riferendosi al dipendente, che al datore di lavoro aveva chiesto di poter stare a casa in malattia.

"Il problema è che si è messo in malattia una settimana - prosegue Povinelli nel corso dell'intervista - poi ci ha garantito che sarebbe tornato, noi abbiamo preso un lavoro e lui dopo aver detto 'ok, torno' ha chiamato per dire che non stava bene. Ho avuto un raptus di rabbia, non ricordo nemmeno tutte le cose che gli ho detto. Sono pentito".

A proposito dei riferimenti a Matteo Salvini, Lega e Casapound nel corso del litigio con il lavoratore marocchino, l'imprenditore afferma: "Ho usato un lessico un po' da bar, magari volevo solo mandarlo in quel paese e ho esagerato. Sono una persona pacifica, non ho appartenenze politiche, ho solo il mio lavoro, la mia ragazza, il mio cavallo. E' come se avessi detto 'vai a quel paese', uno tante volte non ci pensa".

"Non era preciso - conclude il trentino - abbiamo avuto problemi. Ma sono pentito delle cose che ho detto".

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