Asse tra Italia, Spagna e i Paesi del gruppo di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria) per il no alla riforma del Trattato di Dublino sulla politica di asilo elaborata dalla Bulgaria. La bocciatura si consuma al tavolo dei ministri dell'Interno dei 28 a Lussemburgo e rappresenta l'ennesimo stop, dopo due anni e mezzo di lavoro, condiviso con i 'nemici' storici dell'Est, benché motivato da ragioni opposte. Il capo del Viminale Matteo Salvini, rimasto a Roma per la fiducia al Senato, canta vittoria: "Siamo riusciti a bloccare una pessima controriforma, presto faremo una nostra proposta. In Europa l'Italia non è più sola".
Un meccanismo di ridistribuzione con i criteri indicati da Roma (Conte, nel suo primo intervento in Parlamento, ha invocato una riforma Ue dell'asilo che preveda un sistema di ricollocamenti dei richiedenti asilo "automatico e obbligatorio") , Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia (alleati di oggi) lo rigettano da sempre. Con il fronte della linea dura che ora si allarga e si rafforza, soprattutto da luglio, quando l'esponente dell'ultradestra austriaca, il ministro Herbert Kickl (Fpoe), vestirà i panni di presidente di turno, guidando i consigli Affari interni dell'Unione. Proprio lui, Kickl, nell'annunciare una telefonata con Salvini, indica l'Italia come "un alleato forte" e si dice pronto a tirare fuori dal cilindro una nuova proposta.
Se il tentativo di Sofia per cambiare le regole di Dublino spirerà definitivamente al vertice dei leader di fine giugno - come ormai quasi tutti pronosticano - l'austriaco presenterà la sua "mini-rivoluzione copernicana" sulla politica migratoria all'informale di Innsbruck, a luglio: una ricetta per blindare le frontiere esterne, con componenti ispirate al modello australiano. Un'ipotesi di lavoro che piace molto al segretario di Stato alla Migrazione belga, il nazionalista fiammingo Theo Francken (N-va), che plaude al cambio di passo italiano introdotto da Salvini e auspica di tornare a fare i respingimenti dei migranti, trovando un modo per "aggirare l'articolo 3 della Convenzione europea sui diritti umani".
E se è proprio Francken a proclamare la "morte della riforma di Dublino" al termine della riunione - dove almeno sei Paesi oltre all'Italia, alcune fonti riportano dieci - hanno sparato sulla base negoziale bulgara, a porvi una pietra tombale già prima di sedersi al tavolo era stato l'esponente dell'esecutivo tedesco, il conservatore Stephan Mayer (Csu): "Siamo aperti ad una discussione costruttiva - ha scandito - ma per com'è attualmente, non l'accettiamo".
La Francia di Macron guida invece il drappello in difesa della revisione, dove molti Stati sono rimasti più per tentare l'impossibile che per reale convinzione. Secondo fonti, da due mesi Parigi lavora con Berlino e Stoccolma ad una nuova proposta di intesa da portare direttamente al summit. Una tessitura che tuttavia, anche in questo caso, vede la netta opposizione dell'Ungheria di Orban. "Con le elezioni delle destre in Europa c'è un clima politico più duro. E non è solo l'Italia", spiega il ministro socialista svedese Helene Fritzon.
Dalle istituzioni europee arriva intanto un invito ad andare avanti. "La proposta del Parlamento europeo è l'unica che mette insieme fermezza e solidarietà. E' su questa base che gli Stati e il Consiglio devono lavorare", sollecita il presidente dell'Eurocamera Antonio Tajani, che in una lettera a Conte invita a "gettare un ponte" tra le istituzioni Ue per favorire uno "spirito di cooperazione che consenta una riforma pragmatica".
Il commissario Dimitris Avramopoulos evidenzia invece: "La riforma non è morta, è necessaria. L'Europa non diventerà una fortezza", avverte, opponendo un categorico 'no' ai respingimenti.