Che un bambino che cresce assistendo ai continui litigi dei genitori, tra urla e suppellettili che volano, non sia un bambino felice - e probabilmente non sarà nemmeno un adulto felice - ce lo hanno detto per anni gli esperti. Oggi arriva anche la Cassazione a confermarlo: litigare davanti ai figli può costituire reato. Tali conflitti vanno considerati come maltrattamenti in famiglia. La Corte Suprema si è così pronunciata sul ricorso presentato da una donna che era stata condannata, insieme al convivente, per aver discusso in maniera molto animata in presenza dei figli.
La madre – come riportato da Il Messagero - chiedeva agli ermellini di annullare la sentenza in nome del fatto che i bimbi non erano stati mai “direttamente oggetto di aggressioni o soprusi, né di violenza psicologica”. Una giustificazione debole per i giudici, che hanno stabilito che, anche come spettatori passivi, i figli possono riportare danni “fisiopsichici” e “ferite psicologiche indelebili”.
Addirittura “i maltrattamenti inflitti da un coniuge all’altro in presenza dei bambini – precisa la Cassazione – possono condurre alla dichiarazione di decadenza dalla potestà genitoriale”. Avvalendosi di vari studi in materia, ha inoltre sottolineato che non sono esenti da questi meccanismi di danneggiamento neppure i bimbi di pochi mesi o giorni, o “i feti ancora nel grembo materno”, che percepiscono tutto ciò che avviene nell’ambiente circostante.
Una posizione condivisa anche da Maddalena Cialdella, psicoterapeuta familiare e consulente del Tribunale, che ha così commentato la decisione dei giudici: “Stiamo parlando di situazioni di tensione molto forte, che si verificano in caso di separazioni difficili. I bimbi sono costretti a schierarsi con la madre o con il padre. Questo altera il rapporto con i genitori”.