Fumava due pacchetti di sigarette al giorno, si è ammalato di carcinoma al polmone e, contratta la malattia, ha cercato senza riuscirci di smettere. Ha fatto causa alla multinazionale del tabacco e ai Monopoli dello Stato sostenendo che alla base del suo fallimento ci fossero sostanze inserite nella sigaretta per indurre dipendenza fisica e psichica. L'ha persa, è morto prima che il procedimento si concludesse e ora i familiari si ritrovano con una condanna a dover pagare le spese legali di 20mila euro.
Punito dalla malattia e dalla giustizia - Il danno e la beffa per i parenti dello sfortunato tabagista, "punito" anche dopo la morte dalla sentenza della terza sezione civile della Cassazione. Accanto ai familiari dell'ormai defunto fumatore si schiera però adesso il Codacons, che li invita a rivolgersi, in un estremo tentativo, alla Corte europea. La Suprema Corte di Roma ha infatti addirittura aggravato le decisioni dei giudici di primo e secondo grado che avevano bocciato la richiesta ritenendo il vizio del fumo "un atto di volizione libero, consapevole e autonomo di un soggetto dotato di capacità di agire". Dopo il calvario del lungo e doloroso procedimento legale, dai magistrati della Cassazione è infatti arrivata la condanna alla vedova e ai figli del fumatore, uno dei quali minorenne, a rimborsare il conto delle spese legali.
Nel 2002 il primo ricorso alla giustizia - La storia aveva avuto inizio nel 2002, quando l'uomo cominciò davanti al tribunale di Roma la sua battaglia legale accusando il produttore delle sigarette di aver "subdolamente studiato e inserito nel prodotto sostanze in grado di generare uno stato di bisogno imperioso con dipendenza psichica e fisica" e sostenendo che non aveva informato adeguatamente i consumatori.
Il fumatore, a cui il carcinoma ai polmoni fu diagnosticato nel 2000, aveva chiamato in causa anche il ministero della Salute per non aver obbligato l'azienda a offrire un prodotto privo delle sostanze che provocano assuefazione. Ma i giudici gli avevano dato torto. La Corte d'appello di Roma aveva sottolineato che la dannosità del fumo è "dato di comune esperienza" e che fin dagli anni Settanta si sa che il fumo provoca il cancro. Inoltre aveva negato che la nicotina annulli la capacità di autodeterminazione del soggetto, costringendolo a fumare senza possibilità di smettere. La Cassazione ha confermato tutto, giudicando il ricorso inammissibile.
L'intervento del Codacons - E adesso, contro la "sentenza abnorme e sbagliata" è intervenuta l'associazione dei consumatori Codacons, secondo cui quel verdetto "viola i principi base di diritto alla vita e alla salute e rappresenta un regalo alla lobby del tabacco. La libertà di cui parlano i giudici non esiste, mentre esiste una fortissima dipendenza causata dalla nicotina e che rende i fumatori schiavi".
Inoltre la decisione, aggiungono al Codacons, è "in netta controtendenza rispetto alla giurisprudenza di altri Paesi". Ecco allora la possibilità che rimane: un ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo per tentare l'ultima carta e per avere, forse, una giustizia diversa.