"Abbiamo un cervello e un reggicalze. E non abbiamo paura di usarli. Entrambi". Un motto eloquente, un multisfaccettato mondo di forme e colori, paillettes e corpetti, anime e cervelli. Quindici donne diverse, ma unite da un'unica passione: il burlesque. Tutto questo è "Le Fanfarlo": un progetto nato a Milano ufficialmente nel 2017 - ma in incubazione da tantissimi anni - che racchiude una scuola di burlesque, un gruppo di performer che si esibiscono e un blog corale di donne. "Attraverso il corpo ci liberiamo di tutta una serie di tabù: taglia, età, dover scegliere se essere intelligenti o belle". A parlare a Tgcom24 è Lisa Dalla Via, ideatrice e maestra del gruppo, fautrice di un burlesque utilizzato non come fine ma come strumento di empowerment femminile.
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In che senso, Lisa?
Il burlesque permette a tutte le donne di esprimersi: tramite quest'arte acquisiscono una maggiore autostima e hanno anche più forza nel parlare, nel dichiararsi al mondo per quello che sono. È una questione di consapevolezza di sé e del proprio valore. Spesso la società impone una visione dicotomica della donna: o è intelligente o è bella (in senso lato, dalla 40 alla x taglia). Non ci si sente autorizzate a essere entrambe le cose. Credo sia un problema drammaticamente culturale. Faccio un esempio. Qualche anno fa, a lezione si presentò un avvocato di un'importante multinazionale, dicendomi: "Sono venuta a fare burlesque perché mi sono dimenticata di essere donna". Per arrivare al livello dei suoi colleghi uomini e per dimostrare le sue capacità, dovette scegliere se essere femminile o un avvocato in carriera. Perché non si possono conciliare le due cose?
Parliamo di "Le Fanfarlo". Com'è nato questo progetto?
Le Fanfarlo è nato nel mio cervello tantissimi anni fa. Non si chiamava ancora così. Io faccio burlesque dal 2006 e ho sempre avuto a cuore le tematiche femminili. Strada facendo, ho pensato che una “sfida” del genere dovesse essere collettiva e concretizzarsi anche in un sito di donne. L'ho proposto ad alcune allieve. L'idea è piaciuta ed è diventata di tutte. Ci abbiamo lavorato a lungo, ma il progetto è partito ufficialmente lo scorso settembre. Siamo burlesque performer parlanti: non ci esprimiamo solo attraverso il corpo, abbiamo delle cose da dire. Per questo il blog è una parte fondamentale del progetto: riassume alla perfezione il nostro motto “Abbiamo un cervello e un reggicalze. E non abbiamo paura di usarli. Entrambi”. Ognuna di noi racconta la sua storia di emancipazione, come porta avanti il suo essere donna nella vita di tutti i giorni.
"Le Fanfarlo" come La Fanfarlo, il racconto di Charles Baudelaire. C'è un nesso?
Sì. La Fanfarlo è un'attrice che interpreta tantissimi ruoli diversi, quindi è multiforme. L'idea di un nome che racchiudesse varie tipologie di donne mi è sembrato perfetto (nonostante il racconto sia un tantino maschilista). Anche il logo non è casuale: è la Gibson Girl, che racconta l'indipendenza femminile e rappresenta una donna sexy, sfrontata e consapevole di se stessa.
La vostra è una realtà molto eterogenea: dalla maestra delle elementari alla studentessa, dalla programmatrice informatica all'amministratrice di condominio. Com'è confrontarsi con donne così diverse?
Io sono una fanatica delle contaminazioni sia dal punto di vista artistico che umano. Da una realtà multisfaccettata possono nascere cose più interessanti rispetto a una realtà omologata. Certo, non è facile, bisogna superare la naturale diffidenza, perché l'essere umano in genere ha paura del diverso. Ma quando si va aldilà di questo ostacolo, ciò che viene fuori è sicuramente più potente: ognuno porta la propria individualità e le proprie competenze.
Spettacoli, ma anche corsi. Insegna solo lei?
Per ora sì. Nell'insegnamento mi avvalgo anche del mio background di studi in psicologia. Non si lavora solo sulla dimensione artistica ma anche sulla ricerca di sé o dell'autostima. Come dico sempre alle mie ragazze: imparare a levarsi le calze è facile, ma farlo credendoci è difficile perché bisogna costruire la propria sicurezza. Una volta acquisita una certa consapevolezza, in scena si va molto meglio. Non siamo delle esecutrici, siamo delle donne che portano i loro corpi sul palco, con gioia, ironia e orgoglio, facendo dei propri difetti un punto di forza, ridendoci su. Non si impara solo una coreografia, si fa un percorso.
Un burlesque terapeutico, insomma...
Esatto. Negli anni di insegnamento ho visto che ha anche questa funzione. Il linguaggio verbale è totalmente controllabile, mentre quello non verbale sfugge al controllo. Il nostro corpo non mente, sul palco magari raccontiamo o scopriamo delle cose di noi che non avremmo mai voluto raccontare o che ci permettono di conoscerci meglio.
Nel vostro decalogo dite che "Il burlesque è una cosa da donne: giocare con la seduzione non ci rende rivali, ma complici nella scoperta della nostra unicità"...
E' una cosa su cui lavoriamo tantissimo, e lavoriamo proprio su di noi. Ci sono state persone che se non fosse stato per il burlesque non si sarebbero mai incrociate. La dimestichezza che si impara ad avere con il proprio corpo grazie a quest'arte forma gruppi, quando invece in altre situazioni ci sarebbero divisioni. La consapevolezza di se stessi aiuta anche nel rapporto con gli altri, una persona più centrata e sicura è meno livida e invidiosa.
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In una società "fatta" di canoni estetici molto rigidi, voi condannate apertamente il body shaming. Il burlesque può essere visto come un'arte inclusiva, dunque? Aperta a tutti a prescindere da forme e misure?
Sì, il burlesque non ha canoni estetici restrittivi, né limiti di età, forme, misure, culture. Quindi qualsiasi donna si sente “autorizzata” a essere bella. E' brutto il termine autorizzata, ma è così purtroppo: in generale, la società non ci fa sentire belle se non abbiamo certe forme. Ognuno di noi convive con il suo “problemino”: cellulite, pancetta, seno “abbondante”. Ma se riusciamo a fare un lavoro su noi stesse e a piacerci, il mondo sarà il primo a sorriderci. Una donna sicura delle proprie forme - anche se non corrispondono ai canoni estetici pubblicitari o televisivi - conquista il pubblico proprio perché è a suo agio con il suo corpo.
Quanta apertura c'è in Italia nei confronti del burlesque?
Nel 2006 quando ho cominciato nessuno sapeva cosa fosse. Era appannaggio di una nicchia di appassionati. Poi quando, nel 2010, Dita Von Teese si è esibita a Sanremo, il burlesque è arrivato al grande pubblico. Questo ha portato da una parte a una maggiore attenzione nei confronti di quest'arte, ma dall'altra a una degenerazione. Tutte facevano burlesque perché era di moda. Ora, passata l'ondata di popolarità, credo ci sia un equilibrio diverso. Si inizia a capire cos'è. Non è ancora una piena consapevolezza ma ci stiamo lavorando.
Da chi è composto il vostro pubblico? Capita che alcuni prendano il burlesque come uno spogliarello?
Nei nostri show devo dire di no. Chi arriva è preparato: sa chi siamo, da dove veniamo e quindi non si aspetta uno spogliarello. Vengono tante donne a vederci ed è molto bello, a volte commovente. Ci arrivano dei messaggi meravigliosi: "Ragazze siete belle, trasmettete gioia". Il fatto di essere così diverse porta le donne a identificarsi, se fossimo state tutte uguali non ci sarebbe stato lo stesso tipo di riscontro.
A questo proposito, nel vostro decalogo parlate del pubblico come parte integrante dello spettacolo. In che senso?
Nel burlesque il pubblico fa parte dello show. Volente o nolente, non può essere passivo. Deve partecipare, non essere statico. Non è il pubblico della Scala, ci incita, urla, applaude, ride con noi. Da tanti anni sono sulla scena, ma devo dire che a seconda di come il pubblico partecipa lo show cambia.
Progetti per il futuro?
Il burlesque vive di contaminazioni artistiche e umane, quindi desideriamo che la famiglia si allarghi. Ci piace che abbia tantissime taglie e colori. Stiamo imparando insieme, pensiamo di raccontare una cosa bella e speriamo che il nostro messaggio continui a essere capito così come sta succedendo ora. Dal mio punto di vista il nostro è un progetto rivoluzionario. Siamo delle gocce, è importante provare nel nostro piccolo a cambiare una mentalità che vede la bellezza ristretta a determinati canoni estetici e culturali. Ogni donna è bella (dentro e fuori) con il suo singolare splendore.