Accusato di svolta autoritaria

Armenia, dopo giorni di proteste si dimette il primo ministro

Nel 2015 aveva superato il limite dei due mandati come presidente, così aveva indetto un referendum per istituire una repubblica parlamentare e farsi rieleggere

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Dopo giorni di proteste, si è dimesso il primo ministro armeno Serzh Sargsyan. I manifestanti lo accusano di aver dato al governo del Paese una svolta autoritaria. Sargsyan è stato presidente per due mandati consecutivi e la legge gli imponeva di ritirarsi, ma era riuscito a farsi rieleggere grazie un referendum promosso da lui stesso. Ora l’Armenia ha detto basta e potrebbero esserci conseguenze nei rapporti con la Russia.

Il referendum Serzh Sargsyan è un volto più che noto agli elettori armeni. E' ai vertici della politica fin da quando il Paese faceva ancora parte dell'Unione Sovietica. Il suo partito è quello Repubblicano, erede di fatto dell'ex partito comunista. Nel 2008 è stato eletto presidente per la prima volta, quando l'Armenia era ancora una repubblica semi-presidenziale. E' stato riconfermato 5 anni dopo, raggiungendo così il limite dei due mandati. Ma quando Sargsyan ha sentito odore di ritiro, ha indetto un referendum per trasformare l'Armenia in una repubblica parlamentare e farsi eleggere primo ministro. Ha fatto in modo in sostanza di mantenere nelle sue mani la gran parte del potere politico. Ma i suoi piani non sono stati chiari fin da subito. Aveva promosso le riforme proposte come necessarie a rendere più democratico il Paese e soprattutto aveva assicurato che non si sarebbe candidato di nuovo. Con il 66% dei voti a favore, il partito Repubblicano vinse. Da Aprile sono ufficialmente entrate in vigore le nuove disposizioni, fra cui quella che l'elezione del nuovo presidente spetti al Parlamento, istituzione controllata dai repubblicani. Armen Sarkissian, uomo fedele a Sargsyan, occupa così la poltrona dal 2 marzo. Un mese dopo, Sargsyan si è fatto eleggere primo ministro, tornando al potere fino al 2022.

Le proteste Ma l'Armenia era stanca. Nella capitale, Yerevan, e in altre città importanti del Paese migliaia di persone si sono riversate in strada per dire no a un nuovo mandato di Sargsyan. Le proteste sono state organizzate dal partito di opposizione, che però, va ricordato, aveva in parte votato per l'elezione del leader repubblicano come primo ministro. Chi guida le proteste è invece da Nikol Pashinyan, membro di spicco del Congresso Nazionale Armeno, che già una volta si era opposto allo strapotere di Sargsyan e aveva dovuto scontare due anni di carcere.

Una "rivoluzione di velluto" Pacifiche, organizzate dal basso e che piano piano hanno coinvolto sempre più persone, fino a raggiungere circa 200 soldati appartenenti all'esercito armeno. "Rivoluzione di velluto", l'ha ribattezzata Pashinyan, anche se i feriti sono stati 46. In questo modo hanno ottenuto il loro scopo. "Mi rivolgo ai cittadini armeni. Nikol Pashinyan aveva ragione. Io avevo torto",ha detto infine Sargsyan in un comunicato. "Questa situazione richiede soluzioni, ma io non parteciperò. Lascerò l'incarico di primo ministro. Il movimento sceso per le strade è contro di me. Soddisferò le vostre richieste". I manifestanti hanno accolto l'annuncio con applausi e balli.

I rapporti con la Russia La crisi armena, al di là di una vittoria per la democrazia, rappresenta anche un simbolico allontanamento dalla Russia, alla quale è sempre stata vicina anche dopo la fine dell'Urss. Proprio Sargsyan, ricorda il Post, nel 2013 aveva rifiutato di firmare un accordo di integrazione economica con l'Unione Europea, preferendo rimanere nell'orbita di Vladimir Putin. Ora bisognerà capire come il Paese deciderà di muoversi nei confronti delle due fazioni.