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Detroit: Become Human, quando il videogioco incontra il cinema

Abbiamo provato in anteprima la nuova avventura di David Cage: le scelte morali renderanno ogni partita unica

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Qual è, se ancora ha un senso cercarlo, il confine tra cinema e videogiochi? La domanda, un po’ oziosa, ha sempre trovato una risposta piuttosto puntuale nei giochi di David Cage, regista prestato al mondo videoludico e capace di sintetizzare al meglio i due orizzonti creativi, costruendo, di fatto, prodotti ibridi, a tratti poco digeribili per chi preferisce posizioni più nette. Cioè che il cinema si guardi e i videogiochi si... videogiochino. Nomad Soul, Fahrenheit, Heavy Rain, Beyond: Due Anime. La carriera di Cage è costellata di titoli coraggiosi, innovativi, di partecipazioni illustri, da David Bowie a Willem Defoe ed Ellen Page. Ma anche di critiche aspre per il suo modo di trasformare la parte ludica in una sorta di percorso guidato, abbandonare quell'interattività che rende unico il videogioco. Cage ora ci riprova con Detroit: Become Human, in esclusiva per Playstation 4, che Tgcom24 ha provato in anteprima. E la risposta a tutti i dubbi è scomparsa... come lacrime nella pioggia.

La citazione da Blade Runner non è casuale. Detroit mette in scena un mondo per certi versi simile a quello immaginato da Philip K. Dick e visualizzato da Ridley Scott. Un mondo in cui gli androidi non solo esistono, ma hanno rimpiazzato gli uomini in molti mestieri, pesanti e meno pesanti, e non solo. La loro efficienza li rende perfetti anche come assistenti, come baby sitter, persino come amanti. Ma, ovviamente, i contro sono quanti i pro. Le città pullulano di disoccupati che hanno perso il posto in favore di un robot, così come non mancano i dilemmi etici. Eh sì, perché, con ben poca sorpresa, alcuni androidi hanno sviluppato una coscienza e una volontà propria che, mischiata alle doti fisiche sovrumane e a un’intelligenza analitica computerizzata, li rendono schegge impazzite e soggetti... pericolosamente umani. 
 
Questo l’incipit di Detroit, un vero e proprio mix di varie suggestioni fantascientifiche, da Io robot di Asimov al già citato Dick, dal Mondo nuovo di Huxley fino alle atmosfere cyberpunk di William Gibson e Bruce Sterling. Non diremo altro sul trama per non rovinare la sorpresa. Vi basti sapere che nel gioco interpreteremo a turno tre personaggi, tutti androidi. Un poliziotto, Connor, che caccia proprio i replicanti fuori controllo, chiamati devianti, devoto osservante dell’ordine e incapace, ovviamente, di provare emozioni, ma costretto, visto anche il ruolo spesso di mediatore, a connettersi proprio con il lato più umano di se stesso e degli altri. Un androide domestico, Kara, che sarà costretto a fuggire con una bambina, provando qualcosa di molto simile al l’istinto materno e, terzo, Markus, l’assistente di un famoso artista che svilupperà una personalità complessa e sfaccettata.

La loro alternanza porterà ad analizzare questo futuro distopico da angolazioni differenti, ponendo una serie di interrogativi etici inediti per profondità e analisi, almeno all’interno di un videogioco. Cosa ci rende umani? Chi siamo? Cosa sono le emozioni? E l’amore o la compassione? Questi alcuni degli dubbi che vengono avanzati già nelle prime ore di gioco. E che non saranno un ozioso esercizio filosofico, ma un concreto momento di gioco. Sì, perché il giocatore è costantemente invitato a prendere delle decisioni che influenzano in modo netto il percorso e che hanno a che fare, a volte fin troppo, con l’etica e la morale. Rubare o uccidere per salvarsi la vita è lecito? Il sacrificio fino a dove può spingersi? Basta veramente una manciata di minuti per capire come con Detroit non ci si trovi affatto di fronte al solito gioco, ma ad un prodotto maturo e affascinante, complesso e completo, forse non per tutti ma a tutti almeno accessibile.

Da un punto di vista prettamente ludico,  il gioco si muove come un'avventura grafica in cui il personaggio esplora delle ambientazioni con le quali può interagire. Ogni scena occupa un tempo variabile, a seconda anche di quanto il giocatore voglia spendere nella sua esplorazione e seguendo tutti i bivi. Perché quello che rende Detroit diverso da altri prodotti simili, a parte una grafica veramente eccellente,  è la possibilità di influenzare pesantemente se non stravolgere la trama con le proprie decisioni. Vi basti pensare, senza entrare nei dettagli, che confrontando il "vissuto" di due ore di gioco con gli altri colleghi, si scopre di avere raggiunto situazioni completamente diverse. E tutte, questo è molto importante, ugualmente sostenibili. Non c'è un giusto e uno sbagliato, c'è solo un'avventura da vivere e nella quale farsi trasportare anche emotivamente. Esiste, poi, la possibilità di analizzare alla fine della scena le proprie decisioni, visualizzando un albero simile a un diagramma di flusso che mostra da dove siamo partiti e dove siamo arrivati, ma anche tutti i passaggi intermedi che abbiamo operato o evitato, rendendo anche più fruibile la sua rigiocabilità.

L'altro aspetto in cui Detroit eccelle, è la totale immersività del suo mondo, così coerente e dettagliato da far davvero estraniare il giocatore. Gli universi fantascientifici, per funzionare, devono avere regole logiche e un mondo "funzionale" e Detroit lo ha. Non mancano i dettagli nelle ambientazioni, i dialoghi, le riviste, digitali ovviamente, che permettono di approfondirlo, aumentando a dismisura questa sensazione di "esserci". Sensazione amplificata dai dialoghi, profondi, e dalle inquadrature. La mano di David Cage è presente e "pesante", capace di sfruttare attori reali, tra i quali Jesse Williams già visto in Grey's Anatomy e che veste i panni di Markus. Ma ampliando a dismisura, grazie alla telecamera virtuale, le possibili inquadrature. Certo non mancano nemmeno le critiche. I giocatori più amanti dell'azione lo troveranno sicuramente troppo compassato, ancor più dei suoi predecessori, soprattutto di Beyond: Two souls che cercava di strizzare l'occhio a un pubblico "dinamico". Chi ama le sparatorie, non troverà niente nel sistema di gioco che possa appassionarlo. Ma farebbe bene a tenere d'occhio questo Detroit. Perché l'esperienza di diventare umani, non è affatto un gioco.

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