Nei suoi testi svela il mondo della Milano notturna, ma nessuno sa come sia fatto il suo volto. E' Myss Keta: artista situazionista, rapper con attitudine punk, donna di spettacolo che usa la parola con intelligente ironia e provocazione. E' uscito il suo nuovo album, "Una vita in capslock". "E' un modo per ribaltare lo stress e le nefandezze quotidiane - dice a Tgcom24 -: contro il logorio della vita moderna vivi una vita in capslock".
Racconta di avere 18 anni e di essere figlia di Michael Jackson e Madonna. Di aver fatto la modella, di essere stata l'amministratrice delegata della Rovagnati e di aver fatto le vacanze con Kate Moss e Katy Perry. Vive in un loft sopra i Bastioni di Porta Venezia, che le ha concesso direttamente il sindaco dopo qualche tempo di occupazione, ma prima ha vissuto in Russia e in Asia. Insomma, in un incontro con Myss Keta è difficile distinguere la realtà dal gioco, la spiegazione dalla boutade. Provocazione, improvvisazione e ironia si mescolano a concetti seri e ragionati. Esattamente come avviene nelle sue canzoni, dove, sin dall'epoca del brano che l'ha lanciata, "Milano sushi e cocaina", usando l'arma dell'eccesso fa a fette il mondo di cui dice di essere la sacerdotessa. Ora con "Una vita in capslock" (primo lavoro con una major) le tocca uscire dal perimetro di Porta Venezia, dove è personaggio di culto da un po', per parlare al resto d'Italia. Ma la cosa non la spaventa di certo... "Con questo primo album sto pianificando anche il tour in Sudamerica - dice -. E' nato a Porta Venezia ma adesso più che portaveneziana mi dichiaro italiana. Durante il mio percorso sto cercando di allargare i miei orizzonti".
Racconti la realtà notturna milanese: pensi che possa essere un esempio valido anche nel resto d'Italia?
Siamo molto particolari perché qui siamo esagerati. Però credo che le stesse dinamiche, diurne e notturne, si ritrovino in tutta Italia. Milano è stata la terra degli yuppies ma quel tipo di movimenti, in cui si matchavano vita notturna e mondo del lavoro, sono molto italiani. Possiamo risalire fino al tempo dei romani. Non abbiamo inventato nulla.
Cosa significa vivere una vita in capslock, ovvero tutta con i caratteri maiuscoli?
Vivere una vita in capslock è il modo per ribaltare lo stress quotidiano e le nefandezze dell'età moderna. Rubo un vecchio slogan per farne uno mio: contro il logorio della vita moderna vivi una vita in capslock! Tutti i giorni siamo costretti con dinamiche che ti abbattono, tra lavoro e vita quotidiana. Poi uno capisce che queste si possono prendere e rigirare dalla propria parte: non bisogna essere vittime ma prendere in mano le redini della propria vita.
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Parli della realtà contemporanea ma citi slogan anni 70 e nelle canzoni ci sono tantissimi riferimenti agli 80 e i 90. Myss Keta è un condensato della cultura pop nostrana?
Gli anni che vanno dai 70 ai 2000 sono quelli che hanno formato il mio immaginario. Tantissima tv, sì Rai ma soprattutto Mediaset. E' tutto alla base del mio immaginario e da lì parto per confrontarmi con la contemporaneità. Ci sono due tipologie di tv che amo: quella commerciale super pop degli anni 80 e 90 da un parte e Blob dall'altra, il mio vero culto. Un programma rivoluzionario, dove tutti gli elementi della tv vengono presi, reimpastati e sputati fuori. Un po' quello che faccio io con tutto quello che mi circonda.
Quando hai deciso di mascherarti per apparire in pubblico?
Dal 2014, quando è uscito "Milano sushi e coca". Il primo video è stato girato in modo che non si vedesse il mio volto e io ho pensato che sarebbe stato molto furbo continuare a farlo. Può essere un peccato non far vedere il mio viso, ma ci sono le mie curve a compensare.
Curve che sono protagonista nella copertina del disco, dove hai un seno nudo per allattare una scimmia...
Il fatto che mi copra il viso fa sì che debba usare il corpo per comunicare tutto. Lo uso come voglio, cercando di essere me stessa e comunicare la mia presenza. In realtà è un utilizzo molto naturale e libera. Anche il fatto che non corrisponda a un modello stile Kate Moss ha un significato: mostrare sul palco un corpo che non è affine a nessun canone estetico attuale è un bel messaggio da far passare.
Chi scrive i pezzi?
Riva principalmente lavora alla musica. Io, Dario Pigato e Simone Rovellini completiamo il team creativo. L'ispirazione dei testi arriva dal quotidiano. Uno butta lì una frase o un modo di dire, e può nascere una canzone. In altri casi decidiamo di affrontare un tema, in quel caso arriva prima il titolo della canzone e poi il suo sviluppo. Per esempio questo è successo per "Botox".
L'album è costruito come un concept, in cui si racconta una discesa nel tuo inferno personale, con finale ottimistico...
Stavamo lavorando ai pezzi del nuovo album con Riva, Motel Forlanini e tutti i componenti della crew, e ci siamo resi conto che i pezzi erano molto dark, scuri. Siccome siamo dei fanatici di Dante Alighieri e della Divina Commedia ci è venuto naturale associare le tracce dell'album a questa modalità di rappresentazione. La Commedia è un 'opera straordinaria piena di ironia e di satira, ha molti elementi "myssketiani".
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In "Monica" tratti il tema dell' identità. Qual è l'identità di Myss Keta?
Credo ci sia un bel puzzle di identità. Quella precisa è data dall'universo valoriale di Myss Keta, che è invariabile. Ma sono molto trasformista. Mi piace rappresentare tante identità, in diverse canzoni interpreto diversi personaggi. E' bello vedere la realtà da tanti punti di vista. E' bello che ci sia l'identità reale e quella fittizia, mischiando tutto. Ovviamente sempre con una forte ironia e un situazionismo che richiede un livello di interpretazione.
Maschera sì ma sempre diversa. Scegli da sola il tuo outfit o hai qualcuno che ti consiglia?
Ho una stylisyt, una ragazza di Porta Venezia e che fa parte di Motel Forlanini, che mi segue dal giorno uno, Elena Sanfilippo. E proprio per questo segue tutto questo lato di styling. E con lei esploro tutte queste maschere e le diverse modalità di trasformazione. Lei sa meglio di me cosa mi stia bene e cosa usare per comunicare.
In definitiva avere una maschera ti rende più facile raccontare cose scomode?
Certo. Lo diceva anche Shakespeare: datemi una maschera e vi dirò la verità. Questa cosa vela il volto ma svela i veri pensieri. Si può parlare più liberamente. Chi veste una maschera è molto libero. Pensa al teatro greco, gli attori erano attori, ma con indosso una maschera diventavano un personaggio. E' la maschera che conta. In fondo io potrei anche non essere Myss Keta ma una sosia, chi può dirlo?