In alcune città del Marocco, come Aourir e Taghazout, i cani corrono liberi sulle spiagge. Non hanno un padrone, ma fanno parte della comunità che con i randagi ha un rapporto speciale. Tanto che la convivenza tra cani e umani in queste terre è stata oggetto di studi e reportage. Da qualche giorno però questo legame è stato spezzato dalle autorità locali che si stanno macchiando di una strage: decine di randagi sono stati uccisi barbaramente davanti agli occhi dei turisti e degli abitanti delle città. Secondo la stampa marocchina il motivo sarebbe il passaggio di una delegazione della Fifa nella zona per un’eventuale candidatura del paese ai Mondiali del 2026 e l'urbanizzazione dell’area.
Alcuni dei cani massacrati erano "etichettati", cioè sani e tutelati da una convenzione firmata proprio dalle istituzioni con l'associazione "Le coeur sur la patte" che nel 2016 ha lanciato un programma di vaccinazione e sterilizzazione per controllare il randagismo. Dalla firma della convenzione circa un migliaio di cani sono stati vaccinati e sterilizzati dai volontari con una spesa di più di 130mila euro. A loro è stato anche applicato una sorta di orecchino per renderli riconoscibili. Un'etichetta che avrebbe dovuto proteggerli, invece non ha fermato gli agenti che hanno sparato all'impazzata sui randagi.
In particolare a Taghazout alcuni cani sono stati salvati dai turisti e dagli abitanti locali che hanno cercato di proteggerli dai colpi degli agenti armati. Per fermare la strage di randagi sono state lanciate due petizioni: una rivolta al Ministero degli Interni e al Capo di Governo e un'altra al re Mohammed VI. Anche in Italia già in molti hanno sposato la causa grazie all'azione dello Stray Dogs International Project lanciato dagli educatori cinofili Clara Caspani e Lorenzo Niccolini che per primi hanno colto l'unicità del modo con cui i cani liberi vivono nelle terre del Marocco a stretto contatto con gli umani.
Il progetto dei due educatori consiste nel monitoraggio e nella gestione dei cani presenti sul territorio. Dopo quattro anni di lavoro i due hanno aperto l'esperienza anche ad altri attraverso quelle che hanno chiamato le “working holidays”. E' stato proprio il loro lavoro a essere oggetto di ampi reportage pubblicati su La Stampa e sul Secolo XIX.
La loro iniziativa ha portato dei risultati concreti con dei riflessi positivi anche sulla vita delle comunità locali. "I cambiamenti si sono visti sia per quel che riguarda il rapporto tra cani e umani che per l’aspetto organizzativo dello stesso paese - ha raccontato Lorenzo Niccolini al quotidiano genovese - Si è capito che la presenza di cani in pianta stabile limita il numero degli stessi. C’è un simbolo che spiega bene questa evoluzione: l’orecchino post sterilizzazione che portano i cani. Rappresenta la loro pulizia, dunque favorisce la vicinanza tra le specie. Si è eliminata la barriera di diffidenza legata alle malattie e così un animale, per chi vive qui, può anche stare a stretto contatto con le persone".
Ora però i risultati raggiunti rischiano di essere cancellati dal sangue dei cani feriti a morte per mano delle autorità marocchine.