La ricchezza (finanziaria e non) delle famiglie
Secondo il report di Unimpresa la ricchezza finanziaria delle famiglie italiane è aumentata del 4% nei primi nove mesi del 2017 rispetto allo stesso periodo del 2016. Parlando invece della ricchezza non finanziaria, l'Istat spiega che le famiglie consumatrici ne detengono il 48,9% del totale.
Nell’arco di due giorni sono stati pubblicati due studi: uno sulla ricchezza finanziaria delle famiglie - di Unimpresa, in cui l’associazione analizza la ricchezza mobiliare - e l’altra sulla ricchezza non finanziaria - in questo caso lo studio è dell’Istat e prende in considerazione lo stock di attività non finanziarie possedute dalle famiglie (in realtà lo studio esamina anche le principali attività non finanziarie detenute da società e Amministrazioni pubbliche).
Secondo il report di Unimpresa la ricchezza finanziaria delle famiglie italiane è aumentato del 4% nei primi nove mesi del 2017 rispetto allo stesso periodo del 2016, raggiungendo i 4.300 miliardi di euro. Un incremento che è frutto della crescita che ha interessato quasi tutti gli asset mobiliari, mentre risultano in calo solo i depositi (-3,18% da 471 miliardi a 456 miliardi) e le obbligazioni (giù di quasi 15 punti, da 384 miliardi a 327 miliardi).
L’aumento più marcato ha interessato i titoli azionari, arrivati a sfiorare i mille miliardi di euro - Unimpresa ha rilevato un aumento del 9%, 87 miliardi in più rispetto all’anno precedente -, e i fondi comuni, che, come emerge dall’analisi, hanno superato il muro dei 500 miliardi, grazie a una crescita, anche in questo caso, di 9 punti percentuali (+42 miliardi rispetto all’analogo periodo del 2016). In crescita anche l’ammontare dei conti correnti e le riserve in contante: +6% a 883 miliardi (in valori assoluti si parla di 55 miliardi di euro in più).
L’andamento osservato dall’Associazione non è però del tutto incoraggiante. Maria Concetta Cammarata, vicepresidente di Unimpresa, ha infatti spiegato che “i salvadanai delle famiglie sono sempre più pieni, perché si preferisce risparmiare e investire nella finanza: meglio accumulare che spendere sembra la regola d’oro seguita dagli italiani nell’ultimo periodo, un atteggiamento che contribuisce a fiaccare la ripresa”.
Per quanto riguarda invece la ricchezza non finanziaria, l’Istat spiega che, in generale, le famiglie (in cui l’Istat contempla sia famiglie consumatrici che produttrici) detengono il 65,9% (48,9% se si considerano solo le famiglie consumatrici) della ricchezza non finanziaria totale del Paese. Nel dettaglio, per le famiglie l’84% circa delle “attività reali è costituito da abitazioni; gli immobili non residenziali pesano per l’11% e gli altri beni strumentali utilizzati dalle piccole imprese a fini produttivi rappresentano l’1% del totale delle attività. Il settore detiene, inoltre, l’88% del totale dei terreni agricoli e questi incidono per più del 3% del complesso delle attività del settore” famigliare.
Ancora più da vicino risulta che le famiglie detengono il 92% (l’80,7% se ci su riferisce solamente alle famiglie consumatrici) del totale delle abitazioni, contro 6,3% delle società non finanziarie, lo 0,2% delle società finanziarie e l’1,5% delle Amministrazioni pubbliche. Inoltre le famiglie detengono anche il 29,8% del totale degli immobili non residenziali, il 9,8% degli altri beni di capitale fisso (che includono sia attività materiali - come impianti, macchinari, mezzi di trasporto, apparecchiature ICT, mobili, armamenti; che immateriali, come software e attività di ricerca e sviluppo) l’88,5% dei terreni agricoli totali (19,4% se si considera solo le famiglie consumatrici, ovvero quelle che detengono i terreni coltivati esclusivamente per l’autoconsumo).
In questo quadro vanno considerati che i consumi durevoli delle famiglie, ovvero i consumi di beni utilizzati per oltre un anno (l’Istituto fa l’esempio dell’automobile). Nel 2016, spiega l’Istat, lo stock di beni durevoli ammontava a 555,4 miliardi di euro. “Negli anni compresi tra il 2001 e il 2008 - si legge - il tasso di crescita dello stock di beni durevoli è risultato piuttosto sostenuto, con un incremento medio annuo del 3,3%; l’anno caratterizzato dal maggiore aumento è stato il 2006 (+4,8%). Nel triennio successivo lo stock si è ancora ampliato a un ritmo significativo, seppure in rallentamento; tra il 2008 e il 2011 si è registrata una crescita media annua del 2,6%. Il valore dello stock di beni durevoli ha registrato una contrazione consistente nel 2013 (-3,5%) e la discesa è proseguita negli anni successivi (il tasso di variazione medio annuo nel periodo 2011-2016 è stato -1,8%); nel 2016 il calo ha segnato una decelerazione (-1% rispetto all’anno precedente). Questa tendenza è da ricondurre soprattutto alla dinamica fortemente negativa degli acquisti di automobili, la cui recente ripresa non è stata sufficiente a compensare il crollo degli anni precedenti”.
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