Esce "Walk Between Worlds", il nuovo album dei Simple Minds. La band di Jim Kerr e Charlie Burchill torna a quattro anni di distanza dal successo di "Big Music" con un lavoro che riflette sul passato per guardare al futuro. "La sfida è questa - dice Kerr a Tgcom24 -. Il passato è ciò che siamo, è con me ogni volta che salgo sul palco. Ma non siamo nostalgici, cerchiamo sempre di guardare al domani in maniera contemporanea".
Da qualche anno il gruppo sembra essere ripartito di slancio dopo aver attraversato un periodo piuttosto difficile, soprattutto a livello di ispirazione ed entusiasmo. Il nuovo lavoro prende le mosse proprio dalle sonorità di "Big Music" per poi evolversi in qualcosa di diverso e più complesso. L'album presenta infatti due parti distinte in maniera piuttosto netta, e se nella prima metà del lavoro è più facile riconoscere i Simple Minds più classici, nella seconda i brani si stratificano sulle orchestrazioni registrate agli Abbey Road Studios, acquisendo atmosfere quasi cinematografiche.
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"Big Music ha avuto un ottimo responso sia a livello di critica che da parte dei fan. Per tutti è stato come se i Simple Minds fossero tornati - spiega Kerr -. Alla fine del tour ci sentivamo davvero carichi e rivitalizzati. Volevamo continuare sulla stessa strada ben sapendo che andando avanti il nuovo album avrebbe trovato la sua strada peculiare. Credo che "Walk Between Worlds" prosegua in quella strada positiva che aveva imboccato "Big Music". Ma se qualcuno mi chiedesse come suona direi che sono i classici SImple Minds ma contemporanei, vitali, freschi. Tutto questo è importante perché sembri collegato al passato ma affondato nel presente. È una sfida interessante.
A livello lirico più di un brano parla del vostro passato, o citando luoghi per voi importanti o rievocando gli stati d'animo dei vostri inizi. Siete in un momento in cui tendete a guardarvi indietro?
Parlare della nostra città, delle nostre radici, è qualcosa che abbiamo sempre fatto. In album storici con canzoni come "Jungleland" per arrivare a "Honest Town" in "Big Music". "Barrowland Star" parla di un luogo che per noi è più di un posto dove si fa musica, è quasi una chiesa, un tempio, era una sala da ballo dove i nostri genitori andavano negli anni 50 e poi è stato trasformato in arena da concerti. Ho sempre desiderato scrivere qualcosa in merito.
E per quanto riguarda i momenti del passato citati?
Non è questione di essere nostalgici, non ci sediamo sul nostro passato ma è normale parlando di certi cose mettersi immediatamente in contatto con molti ricordi. D’altronde io sono sempre proiettato al domani, ma noi siamo il risultato del nostro passato, e ne siamo immersi ogni volta che saliamo sul palco.
Barrowland è un posto mitico di Glasgow, nel quale farete la prima di tre date speciali. Altrove luoghi come questi hanno chiuso da tempo. Glasgow ha più rispetto per i suoi luoghi simbolo anche della musica?
A essere sinceri non è che da noi manchino imprenditori che vorrebbero acquistare quel posto per raderlo al suolo e farci tanti appartamenti. Per il momento però i vecchi proprietari resistono e a loro non interessano i soldi. Per loro quel locale è la vita e facciamo di tutto per supportarli.
Il brano di chiusura del disco, "Sense of Discovery", cita apertamente uno dei vostri più grandi successi, "Alive and Kicking". E' qualcosa che avete pensato di fare dall'inizio o è venuta casualmente costruendo il pezzo?
È stata una decisione dell’ultimo minuto. Avevamo il demo di questa canzone da molto tempo ma c’era qualcosa che non mi convinceva, sentivo che era una buona canzone ma non una grande canzone. C’era come un tassello mancante per renderla completa. Già su "Big Music" volevano convincermi che era a posto così ma per me non lo era.
E poi cosa è successo?
Ti faccio un paragone calcistico. È come quando mancano cinque minuti alla fine della partita e la tua squadra deve segnare per forza un gol. Ti guardi in panchina e hai solo il vecchio campione ma che sai può compiere il miracolo. Ho pensato che quel passaggio di "Alive and Kicking" era proprio quello che ci mancava. Qualcuno ha provato a dirmi che non potevamo farlo ma… perché mai non potremmo? È una nostra canzone! Usiamola!
Nel 2019 saranno 40 anni dall’uscita del vostro primo album. State progettando qualcosa per l’anniversario?
Dovremo fare qualcosa, ma ancora non sappiamo cosa. Anche perché confesso che non ci abbiamo pensato granché finora. Eravamo concentrati sul nuovo album e non volevamo fosse oscurato dalle celebrazioni per il passato. Ora l’album è fuori, lo porteremo in tour e poi verso la fine dell’anno cercheremo di pensare a qualcosa di davvero speciale per il 2019.
A proposito di tour, per lanciare "Walk Between Worlds" farete tre date speciali, dove suonerete brani nuovi e vecchi e a un certo momento tu sarai anche intervistato sul palco. Come è nato questo format?
Volevamo fare qualcosa di un po' diverso dal solito. Possiamo dire che l'idea arriva dal tour acustico che abbiamo fatto l’anno scorso. In quell'occasione Charlie mi ha detto che dovevo parlare più del solito al pubblico perché tra un pezzo e l’altro aveva bisogno più tempo per preparare le chitarre. E così ho iniziato a parlare… e alla gente è piaciuto. Si è creata un’atmosfera rilassata, anche in Paesi stranieri, tipo in Italia dove ho usato un po' del mio siciliano e tutti ridevano. Quindi abbiamo deciso di incorporare un po' di quel tipo di show in queste serate.
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