Life is Strange è un piccolo, grande viaggio dell'eroe
Per scoprire la profondità narrative del capolavoro di Dontnod Entertainment bisogna scavare oltre la superficie
Non è passato molto tempo da quando i videogiochi si reggevano senza il bisogno di storie, o meglio quando ancora non erano costruiti attorno ad esse. Un game designer progettava le meccaniche e attorno a queste avrebbe poi dato forma alla narrazione, posto ci fosse qualcosa che desiderasse raccontare. Ora però i videogiochi si sono evoluti tecnologicamente e, di pari passo, a livello artistico: con tutte le nuove tecnologie che si susseguono di anno in anno sul mercato, i designer si sentono più motivati e dispongono soprattutto dei mezzi per creare un medium differenti da tutti gli altri. Un medium interessante per le infinite possibilità che offre di esplorare una narrativa interattiva che si accompagni a un gameplay ricco di significato. Molti giochi hanno intrapreso la strada della narrazione interattiva non lineare, alcuni riuscendoci e altri incappando in un dimenticabile fallimento. Life is Strange è uno di questi successi.
EFFETTO FARFALLA Life is Strange è il secondo videogioco realizzato da Dontnod Entertainment, uno studio di sviluppo francese che già si era fatto notare per l’apprezzabile Remember Me, un'avventura ambientata in un futuro distopico. Dontnod non è la prima società a concentrarsi su questo particolare genere di gioco: a memoria possiamo ricordare il bellissimo Fahrenheit di Quantic Dream nel 2005, passato forse un po’ in sordina a causa di una seconda parte non molto riuscita, e nel 2012 l’inizio delle popolarissime serie TellTale, a partire dalla stagione uno di The Walking Dead. L’approccio di Dontnod al genere fu non solo ben realizzato ma rappresentò una deviazione gradita sul percorso tracciato da Quantic Dream e TellTale, con Life is Strange che si posizionò esattamente nel mezzo fra le due realtà grazie a un’azione molto contenuta da parte del giocatore e atmosfere completamente differenti da qualunque altro titolo dello stesso genere.
In sintesi, Life is Strange racconta la storia della diciottenne
Maxine (Max) Caulfield, una studentessa della Blackwell Academy appassionata di fotografia che scopre di avere
il potere di riavvolgere il tempo. Riunitasi con la sua amica d’infanzia Chloe Price, la cosiddetta “cattiva ragazza” tutta fumo, trasgressione e alcol, Max si impegnerà a risolvere il mistero della sparizione di una delle studentesse più prestigiose dell’istituto, Rachel Amber. Tutto questo unito alla consapevolezza, derivata da una visione, che un tornado si abbatterà presto sulla cittadina di Arcadia Bay per raderla al suolo.
Il gioco è suddiviso in cinque episodi ed esplora i temi del bullismo, del suicidio, dell’eutanasia, il determinismo, la perdita dell’innocenza e la giovinezza, fino ad arrivare alla sessualità. Una serie di argomenti piuttosto complessi da trattare in relazione alla giovane età delle protagoniste ma lungo i quali Dontnod si è mossa benissimo.
È difficile spiegare la bellezza e la forza di questo gioco senza fare un’analisi approfondita di ogni singolo capitolo (e dunque presentare spoiler a chi non l’avesse ancora giocato) Sapere che la sceneggiatura è eccellente e la storia avvincente fino alla difficilissima scelta finale non aiuta molto a capire il cuore di Life is Strange, dunque ci concentreremo su
alcuni degli aspetti più interessanti che hanno contribuito a renderlo un titolo acclamato da moltissimi videogiocatori e, soprattutto, videogiocatrici. Seguiamo il percorso di crescita di Max e la sua realizzazione che, sulla scia di una citazione famosa, da un grande potere derivano grandi responsabilità.
È IN ARRIVO UNA TEMPESTA Il primo aspetto che s’imprime con forza nel giocatore attraverso tutti e cinque gli episodi di Life is Strange è il tono: considerata l’ambientazione e la trama,
è quasi naturale paragonarlo a una versione più leggera di Donnie Darko, grazie a una protagonista liceale altrettanto introversa che si trova a fare i conti con viaggi nel tempo e superpoteri mentre sviluppa un fortissimo legame con un altro personaggio, il cui ruolo all’interno della narrazione è cruciale. Laddove Donnie Darko si concentra sull’angoscia e l’isolamento in cui si confina il protagonista frainteso e diverso da chiunque nel suo mondo,
Life is Strange percorre la direzione opposta. Max mette subito al corrente Chloe dei propri poteri e assieme collaboreranno per risolvere il caso di Rachel e capire come affrontare l’imminente tempesta.
Il tutto non si risolve necessariamente in leggerezza, come del resto le tematiche affrontate fanno intuire, bensì utilizzando toni più vari, che lasciano spazio a momenti di leggerezza fra le due ragazze punteggiati dalla
tristezza causata da alcune vicende narrate dal gioco, oppure dall’ansia legata alle implicazioni che i poter di Max avranno a lungo termine. A sua volta, questo non significa che il tono del gioco sia frammentato, tutt’altro:
si mostra strettamente controllato e rafforzato da ogni elemento di gioco, inclusi lo stile artistico, i dialoghi, la colonna sonora e il ritmo tenuto dagli eventi stessi. È difficile dare un nome preciso al tono di Life is Strange nel suo insieme, perché vorrebbe dire riferirsi all’intero processo creativo del gioco.
Ciò che davvero funziona è il modo in cui il gioco sfrutta al contempo un gameplay attivo e un’ambientazione passiva per immergere costantemente il giocatore nella propria atmosfera. La scena madre in questo senso è all’inizio del primo episodio, quando Max esce dalla classe, infila le cuffie e cammina lungo il corridoio affollato della scuola verso il bagno. La musica è una presenza forte ma non affoga i pensieri della ragazza su qualsiasi oggetto o persona che il giocatore sceglie di esaminare. Nonostante Max sia la protagonista, e quindi l’obiettivo costante del giocatore, in questo frangente sembra solo una piccola e insignificante parte dell’ecosistema scolastico che comprende non soltanto il corpo studentesco, ma anche insegnanti, varie attività proposte dai volantini affissi alle pareti e la città stessa nel suo insieme, che esiste chiaramente fuori dai confini della scuola. La scena rappresenta la perfetta introduzione alla realtà di Max come un posto grande e complicato nel quale lei non è sicura del suo ruolo, e che dunque la influenza, ma al contempo è influenzato dalle straordinarie capacità della stessa Max. Una simbiosi che, una volta ragionata e compresa, risulta bellissima.
È facile capire come la musica e lo stile artistico (che sembra quasi tratteggiato a mano) possano costruire il tono dell’opera ma il lavoro più efficace e sottile in questo senso viene dal gameplay. L’azione più comune che il giocatore compie all’interno di Life is Strange non è l’emblematico riavvolgimento del tempo, come verrebbe da pensare, e nemmeno i dialoghi con gli altri personaggi: è piuttosto la disamina dei singoli aspetti dell’ambiente circostante per ascoltare i pensieri di Max a riguardo. Una simile azione pervasiva mette in chiaro come Max sia un personaggio introspettivo e timido, come sia piena di pensieri sul mondo ma totalmente restia a esternarli persino quando le viene direttamente suggerito da terzi di farlo. Ancora più importante, il tono di voce e le sensazioni di Max riflettono gli elementi tonali passivi del gioco (grafica e musica) e operano come eccellente meccanismo di rinforzo per trasmettere al giocatore quello che vuole essere il vero tono di Life is Strange. In parole povere, non esiste un elemento che non sia convogliato alla sua costruzione. Come detto prima, il tono del gioco è da riferirsi all’intero processo creativo.
IL MONDO È UN PALCOSCENICO Gli sceneggiatori di Life is Strange meritano un plauso per aver raggiunto un risultato in cui molti giochi, soprattutto quelli incentrati sulla storia, spesso falliscono: destreggiarsi attraverso una vasta gamma di trame e personaggi per un periodo di gioco relativamente lungo. Non cadete in errore, Life is Strange parla di moltissime cose: l’impatto dei social network all’interno di una piccola cittadina e di una prestigiosa scuola privata (meriterebbe una disamina il caso di Kate Marsh); la scoperta, da parte di Max, dei suoi poteri e le loro inevitabili implicazioni; il viaggio dell’eroe compiuto sempre da Max, che da ragazza timida e introversa guadagna fiducia in se stessa fino a diventare una persona nuova; l’ambiente sociale della scuola in relazione alla nuova studentessa, di nuovo Max; il ricongiungimento fra lei e Chloe. E ancora, la vita di Chloe dopo la morte di suo padre e il turbolento rapporto con il patrigno (la cui figura è stata introdotta meglio nel prequel, Life is Strange: Before the Storm, di cui parleremo in dettaglio in una prossima recensione); le cotte giovanili alle quali fanno seguito amicizie e soprattutto inimicizie, quando i giovani pensano che il mondo ruoti tutto intorno a loro; il mistero dietro la scomparsa di Rachel Amber, che è poi il perno di entrambi i giochi della serie; l’enorme quantità di interlinee tra i personaggi della Blackwell Academy e Arcadia Bay.
Tutto questo e molto altro fa da sfondo a un videogioco che distrattamente può essere classificato solo come “teen drama” e invece è molto più profondo di quanto sembra. Bilanciare questi piccoli e grandi aspetti richiedeva un lavoro magistrale da parte degli sceneggiatori, che non hanno deluso le aspettative: sarebbe stato semplice inciampare, rendere il gioco confuso, travolgente o farcito di elementi inutili, invece nulla è mai apparso sotto quest’ottica. Tutto esiste per approfondire i personaggi o farci capire meglio il contesto in cui vivono. Sfortunatamente, gran parte di questa costruzione è stata realizzata per innescare la decisione finale del gioco, piuttosto discutibile, ma anche prese singolarmente nel loro piccolo queste storie funzionano davvero bene.
TEMPO AL TEMPO
Life is Strange tende a sovvertire le meccaniche di scelta tradizionale presentate nei giochi di Quantic Dream e TellTale. Anziché costringere il giocatore a prendere decisioni rapide che hanno un enorme impatto sui personaggi e sulla trama a lungo termine, il gioco è progettato appositamente per rendere la maggior parte delle decisioni ininfluenti nel breve periodo, poiché Max ha dalla sua la capacità di riavvolgere il tempo e modificare le proprie decisioni. In tal senso, Life is Strange consente ai giocatori di essere più metodici nella loro partita, esplorando sia gli effetti a breve termine delle loro scelte sia il modo in cui i personaggi reagiscono. Una meccanica indubbiamente interessante che concorre a distinguere Life is Strange da altri titoli dello stesso genere.
A distinguere il gioco è in particolare il suo (a volte eccessivo) ritmo compassato. Gran parte del gioco si sviluppa attorno all’esplorazione ambientale, all’osservazione e alle chiacchiere con altri personaggi.
Questi segmenti hanno il compito principale di rallentare la corsa dopo l’usuale, entusiasmante conclusione di ogni capitolo e, ancora una volta, è merito dell’ottimo lavoro di scrittura se passare del tempo alla ricerca di bottiglie vuote dentro una discarica riesce a essere interessante, se non addirittura divertente.
Nel complesso, il ritmo lento funziona molto bene. La storia ragionata di Life is Strange e la meccanica di riavvolgimento del tempo conferiscono al gioco una sensazione sempre più surreale mano a mano che si procede, sebbene le relazioni fra personaggi contribuiscano a mantenerlo ben saldo in un contesto reale. Il forte utilizzo di Max come centro nevralgico di molte scene, che non necessariamente sviluppano lei personalmente, contribuiscono a far emergere le scene d’azione concitate o quei colpi di scena che non ci si aspetterebbe.
Esteso su tutto il gioco, l’equilibrio fra scene lente ed emozionanti fornisce un meraviglioso senso del ritmo che accelera in un continuo crescendo fino a esplodere nel capitolo conclusivo.
Un altro aspetto estremamente importante di Life is Strange è
quanto siano eticamente discutibili tante scelte compiute da Max, nelle quali poi il giocatore si trova coinvolto al punto da scegliere, in un’etica già di per sé “sbagliata”, cosa fare per preservarla al meglio oppure peggiorarla. Non è un discorso riferito all’utilizzo dei suoi poteri, in genere messi a frutto per uno scopo più grande e buono, bensì delle tante piccole situazioni in cui la ragazza sfrutta le proprie abilità per promuovere i suoi interessi, piccoli o grandi che siano.
A pensarci davvero, Max passa gran parte del gioco a
compiere azioni che senza i suoi poteri sarebbero considerate maleducate, manipolative, intrusive o direttamente illegali. Sfrutta i suoi poteri per scoprire determinate informazioni sulle persone, poi riavvolge il tempo per usare queste informazioni a suo vantaggio come nel caso di Taylor o Frank. Entra di nascosto in alcune aree della Blackwell Academy quali la piscina, il bagno dei ragazzi, l’ufficio del preside e persino i dormitori degli altri studenti, spesso invadendone la privacy per indagare sul loro comportamento attraverso gli effetti personali. Pur nel contesto benevolo di mettere in luce molte azioni discutibili compiute all’interno dell’istituto, il comportamento rimane eticamente scorretto perché, nella realtà, nessuno potrebbe tenere questa linea d’azione e uscirne impunito.
Si tratta di un elemento interessantissimo in Life is Strange, perché la questione in gioco è
come la moralità venga influenzata nel momento in cui non ci sono conseguenze per le proprie azioni. Max può fare pressoché ciò che vuole e poi riavvolgere il tempo per negare le conseguenze delle sue azioni su chiunque altro, pur conservando qualsiasi informazione appresa o elemento guadagnato prima di utilizzare i suoi poteri. Apparentemente, Max
si adatta piuttosto in fretta alle implicazioni morali disagevoli dovute ai suoi poteri, o almeno sceglie di ignorarle. Si tratta di un processo di manipolazione che Max mette in atto lungo tutto il corso del gioco e con il quale si ritrova a fare i conti nel quinto capitolo, durante il quale Max ottiene la risposta più vera che possa ricevere a fronte delle sue azioni.
Una risposta che è al contempo la rappresentazione delle sue paure più profonde ma anche di se stessa.
Life is Strange utilizza abilmente una combinazione di catarsi ed esplorazione per creare una narrazione avvincente che il giocatore possa godere. Il gioco crea euristiche coinvolgenti e significative per immergere il giocatore nel ricco mondo di Arcadia Bay e nelle vite di Max e Chloe. La narrativa del gioco utilizza relazioni parasociali e lo sviluppo del personaggio per farci rapportare con i personaggi creati da Dontnod fino al punto da interessarci alle loro esperienze e preoccuparci per i loro problemi. Life is Strange dà al giocatore piena libertà di scelta, coinvolgendolo a un livello emotivo tale che non sarebbe possibile raggiungere attraverso qualsiasi altro medium non interattivo. Da ultimo, il gioco giustappone momenti di calma ed esplorazione ad altri dalla forte intensità ed emotività in modo che progredendo diventino sempre più potenti. Dontnod ha dunque utilizzato sapientemente tutti gli elementi di cui ha potuto disporre per creare un’opera in grado di tenere il giocatore con il fiato sospeso fino agli ultimi minuti di gioco, quando la scelta definitiva ricade tutta sulle nostre spalle e sulla nostra concezione di giusto e sbagliato.
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